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Risotto superfino arborio con julienne di salmone e gherigli, salsa crema


Categoria: Primi piatti a base di riso personalizzato Reparti interessati: Garde manger e Entremetier Metodi di cottura: Casseruola circa 25 mm Utensili usati: Vassoio, spelucchino, trinciante, tagliere, bacinelle, sauteuse, casseruola, spatola di legno, chinoise, mestolo, cucchiaio

Ingredienti pax 4

  • Riso superfino (Carnaroli o A) g 320
  • Salmone fresco o marinato g 200
  • Gherigli g 40
  • Cipolla g 40
  • Olio evo q b
  • Burro g 80
  • Alloro foglia n 1
  • Vino bianco ml 80
  • Brandy ml 10
  • Fondo bianco di pesce lt 1 circa
  • Vellutata di pesce cl 50
  • Panna cucina ml 125
  • Prezzemolo q b

Procedimento

Fase 1

Pulire e tritare la cipolla. Tagliare a julienne il salmone a pezzetti parte dei gherigli, lasciare interi solo 4 frutti. Preparare il fondo bianco di pesce

Fase 2

In un sauteuse mettere una noce di burro e il salmone, a fiamma vivace fare sfrigolare rimestando con cura, successivamente bagnare prima con il brandy e poi con il vino bianco, aggiungere i gherigli tritati grossolanamente, unire un mestolo di vellutata e fare cuocere per circa due minuti. Spegnere la fiamma e aggiungere la panna se necessario regolare di sale.

Fase 3

In una casseruola bassa fare rosolare con l’olio evo la cipolla tritata con la foglia d’alloro, versare il riso e farlo cristallizzare, rimestare continuamente, bagnare con il vino bianco e successivamente con il fondo bianco continuare la cottura come da risotto di base. A tre quarti della cottura unire la salsa e completare la cottura, togliere dal fuoco il risotto e mantecare con il burro, completare con una presa di prezzemolo tritato, servire mettendo in evidenza la guarnizione con i gherigli interi messi da parte.

Marmellata di ceci


Categoria Marmellate e confetture Reparti PâtissierMarmellata di ceci Utensili Bacinella, casseruola, cutter o, setaccio Metodi di cottura casseruola

Ingredienti

  • Ceci lessati kg 1
  • Zucchero g 400
  • Miele g 100
  • Cannella un cucchiaino raso di caffè
  • Cacao amaro g 80 oppure cioccolato fondente
  • Scorza di un’arancia grattugiata
  • Marsala bicchiere 1/2
  • Vino cotto un quarto di bicchiere

Procedimento

Lessare in acqua i ceci, scolarli ben cotti e passarli allo staccio maglia fine. In una casseruola con fondo spesso, mettere la purea e unire i restanti ingredienti fare cuocere finché il composto si densifica al pMarmellata di ceci in cotturaunto giusto.

I ceci appartengono alla famiglia delle leguminose e vengono utilizzati dall’uomo da diversi millenni. Rispetto agli altri legumi hanno una percentuale di grassi più alta, e sono meglio equilibrati nella composizione dei nutrienti. Sono molto ricchi di amido e contengono anche buone quantità di sali minerali, fibre e vitamina A e C, oltre alle saponine, sostanze che aiutano l’organismo a eliminare il colesterolo dall’intestino.

I ceci in cucina – Con i ceci si possono preparare ottimi piatti unici, in abbinamento ai cereali; un piatto di pasta e ceci produce un buon effetto di sazietà, anche perché questo legume trattiene molta acqua durante la cottura. Poiché contengono una percentuale più elevata di grassi rispetto agli altri legumi, danno un apporto calorico più elevato, ma hanno anche una consistenza più morbida. A causa della quantità di cellulosa vanno consumati con moderazione da chi soffre di colite.

PREPARAZIONI VARIE RELATIVE ALLE UOVA AFFOGATE


PREPARAZIONI VARIE RELATIVE ALLE UOVA AFFOGATE PREPARAZIONI VARIE RELATIVE ALLE UOVA AFFOGATE

Uova affogate

In un recipiente più largo che alto mettere a bollire acqua e succo di limone (o aceto bianco), in misura di mezzo bicchiere per ogni litro d’acqua, senza aggiungere sale che, contenendo sodio, tende a diluire l’albume invece che a solidificarlo. Quando l’acqua bolle, rompere le uova (non più di 6) e lasciarle cadere, una per volta, nel punto in cui il bollore è più pronunciato. Farle bollire piano 3 minuti circa, quando il bianco si è quasi totalmente rappreso, e l’interno è molliccio, pescarle con una paletta rotonda forata, tuffarle in un recipiente d’acqua calda salata ma non bollente, pronte per essere servite. Le uova da preparare affogate devono essere freschissime altrimenti non si rapprendono.

Uova affogate Arlecchino

Porre l’uovo affogato in una tartelette e salsare una metà con salsa napoletana e l’altra metà salsa suprema. Cospargere la parte salsata con la napoletana di prezzemolo tritato un pò grosso e la parte salsata con la suprema di una.dadolata finissima di tartufo nero.

Uova affogate contessaPREPARAZIONI VARIE RELATIVE ALLE UOVA AFFOGATE

Riempire oltre metà della tartelette con un misto di punte di asparagi e pisellini passati al burro, mettere l’uovo affogato e salsare con la salsa crema cospargendo la superficie con tartufi neri tritati.

Uova affogate aurora

Porre l’uovo affogato in una tartelette e salsarlo con la salsa aurora cospargendolo di rosso d’uovo sodo passato allo staccio.

Uova affogate Cleopatra

Riempire a metà la tartelette con fegatini di pollo tagliati a dadolini, rosolati al burro e legati con salsa diavola ridotta, porre l’uovo affogato e salsare una metà con salsa diavola legata e l’altra metà di salsa suprema. Cospargere la metà con la salsa diavola con un pizzico di bianco d’uovo passato allo staccio e la metà con la salsa suprema con un pizzico di tartufo tritato.

Uova affogate Fedora

Porre l’uovo affogato in una tartelette, salsarlo con la salsa crema e decorarlo con una fettina di fegato grasso sormontata da una fettina di tartufo nero.

Uova affogate alla fiorentina

In una pirofila mettere gli spinaci al burro, spianarli e porre sopra le uova affogate, salsarle con la salsa Mornay, cospargere con il parmigiano grattugiato e una pioggerella di burro fuso, farle gratinare.

Uova affogate alla creola o all’indiana

Riempire a metà una tartelette con riso alla creola, porre sopra l’uovo affogato e salsate con la salsa indiana.

Uova affogate all’americana

Porre l’uovo affogato su un mezzo pomodoro alla griglia, salsarlo con la salsa americana e decorarlo con una fetta di tartufo.

Uova affogate alla Rossini

Riempire a metà una tartelette con una dadolata di fegato grasso legata con salsa madera, porre l’uovo affogato e salsare con la medesima salsa, decorandolo con una fetta di tartufo nero.

Uova affogate principessa

Riempire a metà una tartelette con punte d’asparagi tagliarle a pezzettini e condire con formaggio e burro, porre l’uovo affogato, salsarlo con la salsa crema decorandolo con una fettina di tartufo nero.

Uova affogate cardinale

Riempire a metà una tartelette con una dadolata di polpa d’astaco legata con salsa cardinale, porre l’uovo affogato e salsare con la medesima salsa decorando con uova d’astaco.

Uova affogate floreale

Riempire a metà una tartelette di purea di piselli, porre l’uovo affogato, salsarlo con la salsa suprema addizionata con un pizzico di prezzemolo tritato grosso, e decorare con una margheritina ricavata da una fetta di carota cotta con un piccolo tagliapasta rigato.

Uova affogate alla giovannea

Riempire a metà una tartelette con code di gamberetti cotti e legate con salsa cardinale, porre l’uovo affogato, salsarlo con la medesima salsa e decorarlo con una fettina di tartufo nero.

Uova affogate alla certosina

Riempite a metà una tartelette con l’intingolo del risotto alla certosina, porre l’uovo affogato e salsare con la salsa di gamberetti.

Uova affogate benedettine

Su un crostone di pane a cassetta tagliato ovale e un pò grande, porre una fetta di prosciutto cotto, leggermente rosolata al burro, aggiungere l’uovo affogato e salsate con salsa olandese.

Uova affogate bella Elena

Su un crostone di pane a cassetta di formato ovale e un pò grande, mettere delle punte d’asparagi alla parmigiana, aggiungere l’uovo affogato, salsare con salsa crema e decorare con la lingua salmistrata tritata.

Uova affogate gratinate

Porre l’uovo affogato su un crostone di pane dorato al burro, salsare con salsa Mornay e fare gratinare alla salamandra o in forno a calore forte.

Uova affogate Georgette

Fare cuocere al forno delle patate grosse senza pelarle, tagliarle per lungo a 3/4 d’altezza e svuotarle. Porre un bel cucchiaio di code di gamberetti legate con salsa gamberetti, aggiungere un uovo affogato, salsare con la medesima salsa, coprire con l’altro pezzo di patata e mettere al forno per qualche istante per servirle ben calde.

Uova affogate Mirabeau

Su un crostone di pane fritto al burro, porre l’uovo affogato, salsarlo con salsa crema addizionata con la purea d’acciuga e decorarlo con 2 filetti d’acciuga a forma di spirale.

Uova affogate regina

Riempire a metà una tartelette con una dadolata finissima di bianco di pollo legata con salsa suprema, porre le uova, salsare con la medesima salsa e decorare con qualche goccio di estratto di carne sciolto.

Uova affogate alla piemontese

Riempire a metà una tartelette con fonduta alla piemontese, porre l’uovo affogato, ricoprire con uno strato leggero di fonduta e di fettine di tartufo bianco.

Uova affogate Mirella

Al centro di un piatto rotondo formare uno zoccolo di riso pilaf alla turca, porre le uova affogate, salsare con la salsa crema addizionata con lo zafferano in misura da conferire alla salsa un colore giallo pallido. Contornare la base con piccoli crostini rotondi fritti all’olio, ponendo al centro di ognuno un cucchiaino di salsa di pomodoro a pezzi.

Uova affogate alla zingara

Riempire a metà una tartelette di salsa zingara, porre l’uovo affogato, salsare con salsa Mornay, cospargere con il formaggio e burro fuso e fare gratinare.

Uova affogate primaverili

Su piatto rotondo, da portata, disporre a corona dei crostoni di pane fritti al burro e sormontati dalle uova affogate, salsate con la salsa aurora e decorare con un pizzico di rosso d’uovo sodo passato allo staccio. Intercalare i crostoni con fondi di carciofi farciti a cupola con un composto di punte d’asparagi e pisellini teneri conditi al burro e legati con salsa crema.

Uova affogate tartufate

Porre in una tartelette l’uovo affogato, salsare con la salsa Alba un pò legata, decorando con qualche fettina di tartufo bianco.

Uova affogate forestiera

Riempire a metà una tartelette con funghi alla crema, porre un uovo affogato, salsare con la salsa crema un pò densa e decorare con piccoli funghi gallinacci cotti al burro.

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La torta sbriciolona


La torta sbriciolona

Categoria dessertLa torta sbriciolona dolce tipicamente lombardo Reparti Pâtissier Metodi di cottura forno  Mise en place trinciante, tagliere, bacinella, tortiera, carta da forno, setaccio, spatola

Ingredienti

Pax 12

Farina tipo 00 g 250 , farina di mais rimacinata g 150, mandorle g 20, mandorle pelate g 180, burro e strutto g 200, zucchero g 200, tuorli g 2, scorza di un limone grattugiato, vaniglia una puntina, sale fino una presa, zucchero a velo q b.

Procedimento

Fase di preparazione

Tritare le mandorle grossolanamente; sulla spianatoia riunire le farine setacciate, le mandorle tritate, lo zucchero, un pizzico di sale e gli aromi, mescolare il tutto e disporre a fontana. Al centro porre i tuorli battuti e il burro ammorbidito a pezzetti. Mescolare gli ingredienti, strofinandoli tra le dita, in modo che il composto rimanga grumoso e non La torta sbriciolonacompatto. Foderare di carta da forno una tortiera tonda del diametro di 26 cm e farvi cadere l’impasto a pioggia, cercando di sbriciolarlo e di livellarlo senza compattarlo.

Fase di cottura

Guarnire la torta con le mandorle con la buccia e cuocere in forno a 180 °C per circa 50 minuti. Lasciare raffreddare, servire cospargendo lo zucchero a velo.

Qualcosa in più

La sbrisolona è un antico dolce povero dalle origini lombarde e contadine, grazie alla facile reperibilità nelle campagne dei principali ingredienti (farina di mais, strutto, mandorle o nocciole) e alla sua lunga conservazione. Il nome fa riferimento alle brisè (briciole), grandi e piccole, che si formano quando si spezzetta la torta, che non va mai tagliata, ma appunto spezzata; è una torta dura, friabile e molto ricca di ingredienti decisamente calorici.

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La torta di ricotta e pere


La didattica il web e la cucina

 

 

Categoria torte e dessert  Reparti Pâtissier Metodi di cottura forno statico  Mise en place coltellino, pelapatate, trinciante, tagliere, tortiera da cm 24 φ, planetaria, frusta, leccapentole, spatola, carta da forno, cucchiaione

Ingredienti    (Pax 10)

  • Farina g 250
  • Lievito chimico in polvere una bustina (16 g)
  • Limoni la scorza di 1
  • Pere abate g 400
  • Ricotta asciutta g 350
  • Uova n 3
  • Vanillina una bustina
  • Zucchero g 170

Procedimento

Fase di preparazione

Pelare e tagliare a dadini le pere, mantenerle in acqua con il succo di un limone. Montare nella planetaria la ricotta con lo zucchero, aggiungere la vanillina, incorporare una per volta le uova, continuando a frustare vigorosamente fino a quando il composto è montato perfettamente. Imburrare e infarinare bene la tortiera, oppure foderare con la carta a forno.

Fase di assemblaggio

Togliere in composto dalla planetaria,  con la spatola di legno aggiungere la scorza di un limone e la farina setacciata con il lievito, completare con le pere ben sgocciolate, amalgamare il tutto delicatamente.

Fase di cottura

Versare a caduta il composto nella tortiera, livellarlo bene e infornare a 180°C (forno statico) per 50/70 minuti, fino a che introducendo uno stecchino di legno al centro della torta, questi ne risulterà asciutto. Fatela raffreddare e cospargerla di zucchero a velo.

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Torta di mele con la crema alla panna


Torta di mele con la crema alla panna

Torta di mele con la crema alla panna

Categoria torte e dessert, prima colazione e coffe break

Pax 10

Ingredienti

  • Per la frolla

Farina tipo 00 g 250

Burro g 125

Zucchero g 60

Uova n 1

Sale un pizzico

Levito in polvere un cucchiaino raso

Il giallo di un limone e arancio grattugiato

  • Per la copertura

Mele renette n 5

Uova n 3

Zucchero g 100

Panna non zuccherata ml 125

  • Per la copertura

Zucchero a velo

Procedimento

Fase di preparazione

Preparare la frolla come da procedimento e farla riposare in frigo per trenta minuti.

Stendere la frolla e foderare la tortiera possibilmente ricoperta da carta da forno. Nel frattempo che si dispongono le mele montare le uova. Per le mele, pelarle e tagliarle in quattro, poi a ventaglio e disporle nella teglia.

Montare in planetaria le uova a temperatura con lo zucchero. Raggiunto il risultato, colore bianco e spumoso, lasciare la frusta e con la spatola versare la farina setacciata, e alla fine la panna. Versare il composto a caduta e coprire completamente le mele e la tortiera.

Fase di cottura

Cuocere in forno preriscaldato a 180°C per 45 minuti. Raffreddare e coprire di zucchero a velo.

Reparti

Pâtissier

Utensili

vassoio, spelucchino, pelapatate, trinciante, tagliere, teglia, carta da forno, planetaria, spatola, cucchiaio, setaccino, bacinella

Metodi di cottura

Forno

 

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Le alici ripiene e fritte alla casalinga viestana


Categoria secondi piatti a base di pesce  Reparti Garde-manger saucier Utensili vassoio, spelucchino, trinciante, tagliere, bacinella, spatola, schiumarola Metodi di cottura friggere

Ingredienti

Le alici ripiene e fritte

  • Alici medie n 40

Per la farcia

  • Mollica di pane raffermo g 400
  • Parmigiano g 100
  • Pecorino g 100
  • Peperone verde g 200
  • Aglio spicchio n 1
  • Uova n 2
  • Prezzemolo tritato q b
  • Olio d’oliva q b
  • Sale una presa
  • Pepe una presa

Per la panura

  • Farina q b

oppure farina

  • Uova battute e pangrattato

Fase preparazione

Pulire le alici, spinarle e lasciare uniti i due filetti, lavarli e farli asciugare. Pulire e tritare finemente il peperone, l’aglio e il prezzemolo.

Per il ripieno: sbriciolare in una bacinella la mollica di pane, unire il prezzemolo, il peperone e l’aglio, il sale, il pepe, i formaggi e mischiare il tutto, aggiungere le uova e completare con l’olio d’oliva quanto basta per ottenere un composto né troppo duro né troppo molle.

Fase assemblaggio

Tenere in una mano i due filetti uniti mettere su il ripieno, pressare un pò, sovrapporre uguale due filetti, pressare per unirli, continuare il procedimento fino a terminare le alici.

Fase cottura

1) Infarinare e friggere. Oppure,

2) infarinare, passare nell’uovo battuto e poi nel pane grattugiato, friggere.

Gli gnocchi di semolino con baccalà e tartufo nero in vellutata di pesce


Gli gnocchi di semolino con il baccalà e tartufo nero in vellutata di pesce

gnocchi di semolino

 

Categoria primi piatti di pesce
Pax 6

Ingredienti

  • Per gli gnocchi

Latte cl 100

Semolino g 220/250

Sale q b

Noce moscata q b

Burro g 30

Parmigiano g 50 circa

Rosso uovo n 1

  • Guarnizione

Polpa di baccala g 300

Tartufo 4 lamelle per porzione, più un cucchiaino tritato.

  • Salsa

Fumetto di pesce lt 1

Burro g 80

Farina g 60

Panna ml 70 ml

Rosso d’uovo n 1

Procedimento

Fase di preparazione

Pulire dalle lische e dalla pelle il baccalà è tritarlo finemente. Tritare finemente una parte di tartufo. Preparare il fumetto di pesce e successivamente la vellutata.

Fase di cottura

Mettere il latte nella casseruola, unire una noce di burro, il sale, la noce moscata, portare ad ebollizione, rimestare di tanto in tanto. Preparare il semolino a grana fine (g 220/250 per un litro di latte), al primo bollore versarlo a pioggia girando con la frusta e poi con la spatola di legno lasciarlo cuocere per dieci minuti circa rimestando continuamente. Unire il baccalà e il tartufo, continuare la cottura ancora per 10 minuti, togliere dal fuoco e amalgamare con il parmigiano, rettificare, se necessario di sale e noce moscata, unire il tuorlo d’uovo. Versare il composto ancora caldo su un piano unto d’olio di semi, con il mattarello stenderlo ad uno spessore di un centimetro circa. Quando il composto si è raffreddato, tagliare con il tagliapasta (coppapasta) rotondo tanti dischetti.

Fase di assemblaggio

Imburrare le pirofile o i tegamini, velare con la salsa, mettere prima gli scarti del composto e successivamente i dischetti, coprire con la salsa, guarnire con le fatte di tartufo e una spolveratina di parmigiano e burro fuso, completare la cottura in forno a 180 °C. Servire e lucidare con burro fuso.

Reparti Entremetier

Utensili Casseruola, frusta, spatola di legno, pennello, tagliapasta, pirofile, trinciante, tagliere, spelucchino

Metodi di cottura ebollizione, forno

Qualcosa in più

da albanesi.it

clip_image002La storia – Il tartufo è noto fin dall’antichità ed era consumato in vari modi dai sumeri, dai greci e dai romani. Della natura di questo fungo si occuparono Plutarco, Plinio il Vecchio, Marziale, Giovenale e Galeno. Nel XVII sec. era considerato un cibo estremamente pregiato; in quel periodo, in Italia, veniva consumato specialmente in Piemonte (soprattutto i tartufi bianchi, mentre quelli neri venivano utilizzati più che altro come farcitura nella preparazione delle pietanze). Attualmente il tartufo è diventato un vero e proprio re della tavola; tra le manifestazioni enogastronomiche dedicate a questo frutto della terra, particolarmente importante è la Fiera di Alba, che assunse ufficialmente il nome di Fiera del Tartufo nel 1933. Quello più pregiato è il bianco di Alba, mentre fra quelli neri il primato spetta al tartufo nero di Norcia o di Spoleto.

Cos’è il tartufo? – Il tartufo è un fungo che cresce sottoterra; due sono le famiglie principali, quella delle Tuberacee e quella delle Terfeziacee. Alla prima famiglia appartengono le principali specie utilizzate a scopo alimentare. Il tartufo matura generalmente in autunno, con alcune eccezioni. Ha forma di tubero ed è costituito da un’elevata percentuale di acqua e sali minerali, che assorbe dal terreno sfruttando le radici dell’albero con cui vive in simbiosi. Questo fungo cresce, infatti, vicino alle radici degli alberi (pioppo, quercia, salice e tiglio ecc.), che influenzano le sue caratteristiche di colore, sapore e profumo, mentre la forma dipende dalla tipologia del terreno. Le specie più diffuse in Italia sono il tartufo bianchetto, il tartufo bianco, il tartufo di Bagnoli, il tartufo estivo, il tartufo nero, il tartufo nero invernale, il tartufo nero liscio.

Alimentazione – Perché parliamo di tartufi? Perché sono un esempio importante del fatto che gusto e tradizioni alimentari sono indipendenti dal valore nutrizionale di un cibo.

Il valore alimentare del tartufo è scarso; d’altra parte viene consumato abitualmente in quantità ridotte. Il suo intenso profumo è dovuto a un composto solforato privo di effetti nutritivi o energetici. Il suo valore nutrizionale è paragonabile a quello dei comuni funghi coltivati. È cioè un esempio di come il nostro gusto e le nostre abitudini possano ingannarci e di come i concetti di cucina e alimentazione non siano necessariamente correlati.

INFO AL. – Proteine: 6; grassi: 0,5; carboidrati per differenza: 0,7 (fibre: 0); ceneri: n.d.; acqua: 76,3; colesterolo: 0; sodio: 77; calorie: 31.

Il risotto superfino mantecato con il radicchio rosso e salsiccia


Reparti Entremetier Utensili Spelucchino, trinciante, tagliere, bacinella, vassoio, casseruola, sauteuse, coperchio, spatola Metodi di cottura casseruolarisotto

Categoria Primi piatti di riso tipico

Ingredienti Pax 4

Riso superfino carnaroli o arborio g 320, olio extravergine d’oliva q b, cipolla g 50, alloro una foglia, vino bianco ½ bicchiere, radicchio rosso un cespo, salciccia g 200, panna due cucchiai, burro g 20, parmigiano g 50 circa, fondo bianco vegetale o di vitello lt 1

Procedimento

Fase preparazione

Preparare un litro circa di brodo di vitello o comune, tagliare a julienne larga il radicchio, sbriciolare la salsiccia a pezzettini.

Pulire, lavare e tritare finemente la cipolla.

Fase cottura

In una padella mettere un filo di olio e la salsiccia, farla rosolare bene e bagnare con il vino bianco, aggiungere il radicchio e continuare la cottura con coperchio per cinque minuti ancora. In una casseruola bassa velare il fondo di olio extravergine d’oliva, aggiungere l’alloro e la cipolla, farla imbiondire rimestando continuamente. Appena, versare il riso e, continuare a mescolare fino a quando lo stesso si è ben tostato, bagnare con il vino e in seguito con il brodo, continuare l’operazione man mano che il brodo si asciuga. A tre quarti della cottura unire il composto di radicchio e salsiccia, continuare rimestato sempre, a fine cottura mantecare con la panna, il burro e il parmigiano.

Qualcosa in più

Radicchio – Il suo nome deriva dal latino radicula, diminutivo di radice. Il radicchio è un tipo di cicoria rossa, di cui si conoscono due specie pregiate: il radicchio di Treviso, di forma allungata e dalle foglie molto carnose, e il radicchio di Chioggia, di forma globosa. Tipico del radicchio (e comunque delle cicorie) è il sapore amarognolo che è dovuto alla presenza dell’acido cicorico. Il radicchio probabilmente più noto in Italia è il primo, il radicchio di Treviso (è tutelato dalla certificazione IGP); ne esistono due tipologie, il radicchio Rosso Precoce e il radicchio Rosso Tardivo; il radicchio Rosso Precoce si caratterizza per la nervatura accentuata di colore bianco. La raccolta inizia verso la fine della stagione estiva. Il radicchio Rosso Tardivo ha foglie piuttosto lunghe e affusolate, se consumato crudo è molto croccante. Può essere consumato anche cotto ai ferri o fritto in padella. È un condimento molto versatile che può essere usato per i più svariati tipi di piatti (dalla pasta alla pizza, dai risotti alla frittata.

Il brodetto marchigiano


Il brodetto marchigiano

Il brodetto marchigiano

Categoria secondi piatti a base di pesce tipico regionale

Pax 6

Ingredienti
Pesce misto fresco kg 1,5
(merluzzetti, capponi, calamari, sogliolette, scorfani, anguille, piccoli rombi, seppie, triglie, cicale, piccole code di rospo, scampi, gamberoni… Tradizionalmente devono comparire tredici qualità diverse di pesce)
Olio extravergine d’oliva q b
Cipolla g 80
Aglio spicchio n 1
Peperoncino n 1
Vino bianco ½ bicchiere
Passato di pomodori di conserva cl 50
Brodetto di pesce
Prezzemolo tritato un cucchiaino
Fette di pane abbrustolito n 2 per porzione
Procedimento
Fase di preparazione
Pulire, lavare e tagliare se necessitano molto bene il pesce e selezionatelo per consistenza delle carni.
Pulire, lavare e tritare la cipolla, l’aglio e il prezzemolo.
Tagliare a fette il pane possibilmente casareccio e raffermo, passarlo sulla griglia oppure nella salamandra, alla fine irrorarlo con un filo di olio d’oliva.
Fase di cottura
In una casseruola bassa e capiente, mettere l’olio d’oliva, la cipolla e il peperoncino, lasciare imbiondire, aggiungere l’aglio e proseguire adagiando il pesce più consistente; bagnare con il vino bianco.
Versare completamente la salsa di pomodoro e un mestolino di brodo di pesce, fare bollire per venti minuti circa. Trascorso il tempo, aggiungere man mano i restanti pesci, continuare la cottura fino a completamento, rettificare di sale, eventualmente aggiungere altro brodetto.
Fase di confezionamento
Sistemare il pesce nel piatto, cospargere con il prezzemolo tritato e accompagnare con le fette di pane.
Reparti:
Garde-manger, pâtissier
Utensili
Vassoi, spelucchino, bacinella, casseruola, trinciante, tagliere, pentola, mestolo, spatola, schiumarola, chinoise

Metodi di cottura
in casseruola
Il brodetto marchigiano

                 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il brodetto marchigiano

    Qualcosa in più  IL BRODETTO MARCHIGIANO
    clip_image001DI LEONARDO BRUNI  Accademico di Ancona
    “Le «patrie» dei brodetti marchigiani sono sette: San Benedetto, Porto San Giorgio, Civitanova, Porto Recanati, Ancona, Senigallia, Fano”.
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    Il brodetto è la zuppa di pesce del- la costa adriatica che va da Vasto a Trieste. L’attuale brodetto è costituito da piccoli pesci o pesci più grossi tagliati a pezzi, crostacei e cefalopodi più frequenti sul mercato lo- cale e di scarso pregio economico, ma freschissimi: tassativamente escluso il pesce surgelato. I pesci sono soffritti con olio d’oliva, cipolle e/o aglio e altre erbe aromatiche, con aggiunta di vino o aceto, pomodori freschi o salsa o conserva di pomodori, pepe o peperoncino. Il tutto fatto sobbollire molto lentamente sì che ogni pesce e ogni aroma cedano il lo- ro profumo e sapore in una armonica e meravigliosa sinfonia. Il brodetto si differenzia dalle zuppe di pesce per il sugo più denso e l’assenza dei molluschi bivalvi. Il canovaccio dei brodetti è comune, ma ogni paese, ogni famiglia lo interpreta a suo modo. Chi impone certe qualità di pesce, chi lo bagna con l’aceto, chi con il vino, chi vuol la cipolla, chi l’aglio, chi entrambi, chi i pomodori freschi in pezzi, chi la conserva, chi la salsa di pomodoro, nessuno nega pepe o peperoncino a dosi generose. La prima zuppa di pesce o brodetto di cui si narra è quella preparata da Venere in persona per ammansire l’ingenuo Vulcano dubbioso della fedeltà della dea. La letteratura gastronomica cita la famosa “zuppa bruna marinara” dei Focesi (popolazione greca) risalente all’VIII-VII secolo a.C. fatta con cipolla, olio d’oliva e pesci vari; il pomo- doro era là da venire! Il brodetto o zuppa di pesce è nato sui pescherecci tanto tempo fa: era preparato con i pesci avanzati o rovi- nati dalle reti, per cui ecco la molteplicità dei pesci. All’inizio il brodetto era fatto con acqua, erbe aromatiche, olio, aceto o vinello e pepe. Il pomodoro è entrato in uso nella seconda metà del XIX se- colo. È il piatto unico dei pescatori e del- le loro famiglie; nel sugo ci si in zuppa il pane o la galletta. Il brodetto è un piatto popolare, assente in tutti i trattati gastronomici da Apicio in poi: e ciò si spiega con il fatto che i libri di cucina erano scritti per i cuochi dei “signori” mentre il brodetto è un piatto per i “poveracci”. Un brodetto oggi è difficile assaggiarlo perché le casalinghe sono abituate ai filetti di pesce e i ristoranti nella maggior parte dei casi l’hanno tolto dal menu: troppo complicato comprarlo e prepararlo. È scritto che le “patrie” dei brodetti marchigiani siano sette: San Benedetto, Porto San Giorgio, Civitanova, Porto Recanati, Ancona, Senigallia, Fano. Se andate in giro a dir questo scoppia la guerra: la guerra dei brodetti! Secondo le varie leggende tutti i brodetti marchigiani hanno origine dai coloni greci che tra il VII e il IV secolo a.C. sono sbarcati sulle nostre coste. Si narra pure che i vari “maghi” o “gran maestri” del brodetto conservi- no gelosamente le segretissime for- mule sulla preparazione di questo piatto e facciano prestare solenne giuramento ai loro aiutanti di non rivela- re mai e poi mai tale segreto pena… botte da orbi. Insomma, il piatto più povero e popolare del Mediterraneo ha creato una infinità di leggende. Il brodetto va preparato per alme- no sei persone, ci vogliono almeno sette diversi tipi di pesce, crostacei e molluschi. Pesce povero sì, ma freschissimo. Fuoco moderato e diffuso a tutto il recipiente. Si considera almeno mezzo chilo di pesce a testa. Si accompagna con abbondante pane casereccio tostato, agliato o no. È considerato piatto unico. Riporto dei “magnifici sette” solo tre ricette a causa della tirannia dello spazio.
    Brodetto senigagliese
      Secondo la tradizione sono necessarie 13 qualità di pesce, come i partecipanti dell’ultima cena. Vengono esclusi bivalvi e pesce azzurro. I pesci usati di solito sono: baraccola (razza), roscioli (triglie), testole (triglie), rospo (rana pescatrice), pesce ragno, cagnolo (palombo), suri e cefali, seppie e calamari, pannocchie (canocchie). Il pesce va lavato con acqua di mare o salata, sviscerato e squamato, tagliato in pezzi di circa 60 g se grosso. Le seppie o i calamari vanno tagliati a rondelle o filetti. Ho raccolto numerose ricette da vecchi pescatori e mogli di pescatori che ho sintetizzato in due varianti.

         

  • Prima ricetta: imbiondire in un tegame ampio, da contenere il pesce in solo strato, una grossa cipolla tritata e due spicchi d’aglio schiacciati in abbondante olio d’oliva. Aggiungere conserva diluita con acqua calda e aceto. Quando l’aceto è evaporato metterci il prezzemolo tritato, sale e tanto pepe appena macinato. Versare in questa salsa le seppie e i calamari e lasciarli cuocere a fuoco basso e tegame coperto per un quarto d’ora, poi versare il rospo, la baraccola e dopo cinque minuti tutti gli altri pesci comprese le pannocchie. La salsa deve coprire appena i pesci, eventualmente aggiungere acqua calda. Cuocere a fuoco molto moderato a tegame scoperto per 20 minuti. Non scuocere il pesce!
  • Seconda ricetta: fare un battutino di cipolla e prezzemolo e lasciarlo imbiondire appena in giusta quantità di olio d’oliva, bagnare con mezzo bicchiere d’aceto, far evaporare in parte, poi versare salsa di pomodoro, salare e pepare abbondantemente. Cuocere per 10 minuti. Versare le seppie e/o i calamari e far cuocere per 5 minuti, poi i pesci a carni sode e dopo altri 5 minuti quelli a carne tenera. Cuocere a tegame scoperto; a fine cottura coprire con il coperchio e la- sciar riposare per cinque minuti prima di servire con pane stantio tostato o polenta arrostita in graticola.

     

     

Brodetto sanbenedettese
Pesce vario a seconda della disponibilità: palombo, scorfano, rana pescatrice, razza, seppia, triglia, pesce lucerna ecc., qualche canocchia o granchio, il tutto per almeno tre chilogrammi; pomodori verdi g 500-700; peperoni verdi g 500-700; cipolla e peperoncino rosso piccante, olio d’oliva cc 300, un bicchiere di aceto bianco di vino. San Benedetto, antico porto peschereccio marchigiano, vanta il miglior brodetto dell’Adriatico. Questo presenta delle specificità particolari come l’uso di peperoni e pomodori verdi, l’aceto al posto del vino e il peperoncino rosso piccante invece del pepe. Connubio tra brodetto marchigiano e abruzzese. Le cronache narrano che il trattore Andrea Moretti riuscì a sollevare lo spirito di Gioacchino Murat, appena sconfitto alla Rancia (Tolentino) dagli austriaci nel 1815, servendogli il nostro brodetto.
Soffriggere la cipolla e l’olio in un tegame ampio, aggiungere i peperoni affettati e i pomodori tagliati a spicchi piuttosto grandi e cuocere per 15 minuti. Versare a questo punto l’aceto e cuocere per altri 10 minuti. Sistemare le seppie e lasciarle cuocere qualche minuto, data la loro consistenza, prima di disporre gli altri pesci. Tra questi, dare la priorità alla rana pescatrice, al palombo e alla razza, collocati a strati; dopo alcuni minuti completare la disposizione dei pesci e proseguire la cottura, avendo cura di muovere di tanto in tanto il tegame senza però toccare i pesci. Aggiungere il peperoncino e, se necessario, un po’ d’acqua. Dal momento in cui si son disposti gli ultimi pesci, calcolare 20 minuti ancora di cottura a fuoco moderato.
Brodetto di Porto Recanati
È considerato il più antico tra i brodetti adriatici e, cosa strana, nella sua preparazione si utilizza lo zafferano bastardo, come Marsiglia usa lo zafferano vero. Spezie importate dall’Oriente dai crociati. Chi è stato il primo a utilizzare lo zafferano per preparare la zuppa di pesce? Porto Recanati o Marsiglia? Ancora stanno a contendere. Questa è la ricetta che sono riuscito a costruire prendendo notizie qua e là e molti vi diranno che non si fa così. L’antica ricetta non prevede il pomodoro, anche se oggi qualcuno ne aggiunge un poco. Per preparare questo brodetto per sei persone servono almeno 3 kg di pesce vario che comprenda razza, rana pescatrice, nasello, sogliolette, triglie, seppia, moscardini, canocchie. Zafferranella  (Carthamus tintoris) g 5, pepe nero in grani, cipolla, olio d’oliva extravergine, vino bianco secco, farina. In un tegame largo e piatto a due manici si mettono l’olio, la cipolla affettata finemente, le seppie e i moscardini in pezzi e si lascia insaporire a fuoco dolce per meno di 10 minuti. Si aggiungono un bicchiere di vino bianco e un bicchiere d’acqua calda salata o brodo di pesce fatto con le lische e i pesciolini e qualche erba aromatica, lo zafferano e il pepe appena macinato. Alcuni aggiungono oggi qualche cucchiaiata di salsa di pomodoro. Far sobbollire per 10 minuti. Si otterrà un aromatico brodetto color oro antico. Infarinare il pesce e “sgrullarlo” per eliminare l’eccesso di farina. Liberare la pentola dal brodetto e sul fondo versare poco olio; disporre le canocchie e farle rosolare appena, poi il pesce a carne soda e fare altrettanto, poi quello a carne tenera. Coprire con il brodetto, controllare la salatura e cuocere a fuoco vivace, a tegame scoperto, per qualche minuto, muovendo il tegame spesso. Incoperchiare e aspettare 10 minuti prima di servire con pane casereccio fresco agliato, non tostato.

Biscotti al cioccolato


Categoria dolci tipici adatti per il periodo di natale  Reparti Pâtissier Utensili bastardella, setaccio, bacinella, piatto fondo, raschia, teglia, carta da forno Metodi di cottura forno

Ingredientibiscotti al cioccolato
  • Farina 00 kg 1
  • Zucchero g 300
  • Burro o margarina g 300
  • Uova intere n 6
  • Vaniglia una bustina
  • Lievito per dolci una bustina
  • Cioccolato fondente per la guarnizione q b
Procedimento

Setacciare la farina nella bastardella, unire lo zucchero, la vaniglia, il lievito, il burro a pezzettini e le uova, impastare il tutto fino a raggiungere un composto liscio e omogeneo, lasciare riposare in frigo per due ore circa. Sopra una spianatoia tagliare a pezzi l’impasto, formare un cordoncino di spessore circa di diametro di un mignolo della mano, formare una lunghezza da fare a ferro di cavallo, mettere i biscotti su teglia ricoperta di carta da forno e infornare a 180 °C per circa venti minuti. Lasciare raffreddare i biscotti e, bagnarli immergendo le due punte nel cioccolato fondente.

BURRI COMPOSTI


SCUOLA DI CUCINA

BURRI COMPOSTI

I burri aromatizzati vengono usati come salse, oppure per aromatizzare le stesse. Inoltre sono usati per la preparazione di tartine e per accompagnare pietanze a base di pesce e di carni soprattutto cotti alla griglia.

BURRI AROMATIZZATI

  • Burro all’aglio

A 200 g di burro morbido unire il succo di due spicchi, sale e pepe amalgamare il tutto.

  • Burro all’acciuga

    A 200 g di burro morbido unire g 70 di filetti d’acciughe dissalate molto bene, frullate e passate allo staccio, amalgamare il tutto.

  • Burro al caviale

    A 200 g di burro morbido unire g 50 di caviale pestato al mortaio, amalgamare bene, poi passare allo staccio.

  • Burro per lumache (Dose per 50 lumache)

    In una terrina mettere 500 g di burro morbido e renderlo a pomata, aggiungere g 50 di scalogno tritato fine, due spicchi d’aglio pestati a poltiglia, un cucchiaio colmo di prezzemolo tritato, sale, pepe necessario e alcune gocce di succo di limone, amalgamare il tutto molto bene.

  • Burro al rafano

    Passare al cutter g 50 di rafano e farlo unirlo a 300 g di burro morbido, amalgamare e passare allo staccio, completare con un pizzico di sale fino.

  • Burro alla maggiordomo

    A 200 g di burro morbido aggiungere un cucchiaio di prezzemolo tritato finemente, il succo di un limone medio, sale e pepe necessario, amalgamare molto bene.

  • Burro Colbert

    A 200 g di burro morbido aggiungere un cucchiaio di prezzemolo tritato finemente, il succo di un ½ limone, un cucchiaio di estratto di carne sciolto, sale e pepe necessario, amalgamare molto bene.

  • Burro al basilico

    A 200 g di burro morbido aggiungere g 20 di foglie di basilico pestate al mortaio, sale e pepe e passare il tutto allo staccio se necessario per due volte.

  • Burro all’aragosta

    A 200 g di burro morbido, unire due cucchiai di succo della carcassa cotta e pestata e il trito finissimo di un cucchiaio di polpa d’aragosta, passare allo staccio.

  • Burro ai gamberetti

    A 200 g di burro morbido, unire 80 g di polpa di gamberi salati al burro e bagnati con il brandy, poi frullarli al cutter, amalgamarli e passarli allo staccio.

  • Burro al salmone

    A 200 g di burro morbido, unire g 50 di salmone cotto in acqua e frullato, salare e pepare, amalgamare bene e passare allo staccio.

  • Burro alla senape

    A 200 g di burro morbido, unire un cucchiaio di senape, il sale e amalgamare il tutto.

  • Burro alla mandorla

    A 200 g di burro morbido, unire g 100 g di mandorle prima: prendere le mandorle sbollentarle, peparle, tostarle e passarle al cutter, amalgamarle al composto e passare il burro per due volte allo staccio.

  • Burro al pistacchio

    Procedere con il burro alla mandorla, sostituendo alle mandorle altre tanti pistacchi.

  • Burro ai gherigli di noci

    Procedere con il burro alla mandorla, sostituendo alle mandorle altre tanti gherigli.

  • Burro al curry

    A 200 g di burro morbido, unire un cucchiaio di polvere di curry, il succo di un limone piccolo e il sale necessario.

  • Burro alla paprica

    Procedere con il burro al curry, sostituendo la polvere di curry con la polvere di paprica.

  • Burro ai capperi

    A 200 g di burro morbido, unire g 30 di capperi dissalati e tritati molto finemente, amalgamare il tutto e passare allo staccio.

  • Burro alle olive

    Procedere con il burro ai capperi, sostituendo i capperi a g 100 di olive denocciolate.

  • Burro ai tartufi

    Pestare al mortaio g 75 di tartufi bianchi con un cucchiaino di salsa besciamella, salare e pepare, aggiungere g 200 di burro morbido. Rimestare e passare allo staccio.

  • Burro manié (burro manipolato per legare)

    Incorporare g 80 di farina a g 100 di burro ammorbidito. Il composto deve essere ben amalgamato. Questo burro è molto utile per legare salse, legumi e altro.

  • Burro al gorgonzola

    A 200 g di burro unire g 200 di gorgonzola, sale e pepe, amalgamare e passare allo staccio. Utilissimo per tartine.

  • Burro verde

    A 200 g di burro unire g 50 di foglie di spinaci cotti, strizzati e tritati finemente, amalgamare e passare allo staccio per due volte.

    I BURRI COME DI USANO

    Burro all’aglio   

    Salsa per carni e pesci alla griglia

    Burro all’acciuga

    Per carni e pesci alla griglia, per tartine o canapè

    Burro al caviale

    Per pesce alla griglia e per tartine e canapè

    Burro per lumache

    Per le lumache, carni e pesce alla griglia, come salsa

    Burro al rafano 

    Per antipasti

    Burro alla maggiordomo

    Per carni e pesci alla griglia

    Burro Colbert         

    Per carni e pesce alla griglia e per tartine e canapè

    Burro al basilico

    Per legare e aromatizzare salse per pesci e carni

    Burro all’aragosta 

    Per confezionare salse per pesci e crostacei, per tartine e canapè

    Burro ai gamberetti  

    Per pesce alla griglia e per confezionare salse, tartine e canapè

    Burro al salmone    

    Per tartine, canapè e antipasti vari

    Burro alla senape 

    Per tartine e canapè e salse

    Burro alla mandorla      

    Per tartine e canapè e salse

    Burro al pistacchio

    Per tartine e canapè e salse

    Burro ai gherigli di noci

    Per tartine e canapè e salse

    Burro al curry           

    Per carni e pesci e per spalmare su tartine e canapè, uova sode

    Burro alla paprica   

    Per carni e pesci e per spalmare su tartine e canapè, uova sode

    Burro ai capperi      

    Per carni e pesci e per spalmare su tartine e canapè, uova sode

    Burro alle olive  

    Per carni e pesci e per spalmare su tartine e canapè, uova sode

    Burro ai tartufi 

    Per carni e pesci e per spalmare su tartine e canapè, uova sode

    Burro manié 

    Per legare salse e legumi

    Burro al gorgonzola   

    Per canapè e tartine

    Burro verde                

    Per salse e uova sode

     

    LE ESSENZE

    Le essenze non sono atro che liquidi di cottura di determinati ingredienti che ridotti acquisiscono un aroma molto forte e servono per aromatizzare salse, consommé, o altro.

    Gli ingredienti più usati sono: tartufi, funghi, peperoni dolci, pomodori, sedani, dragoncello, ecc. Nei consommé questi elementi si possono aggiungere direttamente nel fondo della chiarificazione, in misura un po’ abbondante in modo che l’aroma dei medesimi abbia a prevalere. Come pure si possono aggiungere nel fondo di alcune creme. In certi casi invece è strettamente necessario far bollire in ristretto l’ingrediente di cui si vuole ottenere l’essenza, indi far ridurre ancora il liquido di cottura per unirlo poi a una salsa o altro, ottenendo così l’elemento aromatizzato senza compromettere la consistenza.

    Prof. Giuseppe Azzarone

    N’capriata di fave con cicorie saltate, pane abbrustolito e olio extravergine d’oliva affiorato


    N’capriata di fave con cicorie saltate, pane abbrustolito e olio extravergine d’oliva affiorato

    Categoria Primi piatti tipici (Gargano) Reparti Entremetier Utensili  Casseruole, padella, tagliere, bacinella, trinciante, scolapasta, forchettone Metodi di cottura Casseruola

    Ingredienti pax 4

    • Per le fave secche sgusciate g 500 (favette)
    • Olio evo, aglio spicchio n 1, mezzo gambo di sedano, acqua, sale

    Per la cicorietta kg 1

    • Olio evo q b
    • Peperoncino n 1
    • Aglio spicchio n 1
    • Sale q b

    Assemblaggio

    • Pane raffermo, cinque pezzi per porzione

    Procedimento

    In una casseruola, mettere le fave, l’aglio pulito, intero, il gambo di sedano, la foglia d’alloro, coprire di acqua ma non troppo, una presa di sale e farle cuocere a bollori regolari fino a quando iniziano a diventare a purea. Pulire, lavare e tagliare a metà le cicorie, cuocerle in abbondante acqua salata, scolarle e saltarle in padella con aglio, olio, peperoncino. Versare la purea di fave in una scodella possibilmente di legno (o piatto fondo), guarnire con le cicorie spadellate e servire con crostoni di pane raffermo imbevuti d’olio evo profumato all’aglio e finocchietto selvatico. Per questa ricetta si possono usare le fave tenere quando la stagione lo permette, oppure quelle surgelate.

    – La fava è un legume appartenente alla famiglia delle Papilionacee. I semi della fava sono da sempre molto utilizzati per l’alimentazione umana (ma anche per quella degli animali), specialmente in Italia, nelle regioni meridionali. Come altri legumi, nel corso dei secoli ha perso il ruolo centrale che rivestiva ai tempi della civiltà contadina per essere sostituito da altri alimenti proteici. In commercio le fave sono reperibili sia fresche sia secche; quelle fresche possono essere consumate al naturale, come contorno o come accompagnamento di affettati o formaggi. Le fave secche, private della pelle, possono essere bollite e fatte diventare un purè e utilizzate come accompagnamento di verdure amarognole; le fave secche con il guscio possono essere cotte solamente dopo un ammollo preventivo di alcune ore come si fa, per esempio, con i ceci o con i fagioli.

    – La cicoria comune è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle Asteracee. Può essere annuale, biennale o perenne. La si ritrova in Europa, in Asia, nell’Africa boreale, nell’America del sud e in quella del nord. La cicoria è molto diffusa allo stato spontaneo, nei campi, ove è possibile apprezzare i suoi fiori di color azzurro intenso. Si distingue in cicoria verde e cicoria rossa (più comunemente detta radicchio). Ne esistono diverse varietà, le più comuni sono la cicoria Witloof (detta anche indivia belga), il radicchio rosso (molto noti quelli di Chioggia e di Treviso), la cicoria asparago (detta anche cicoria catalogna) e la cicoria da radice. La cicoria Witloof viene generalmente utilizzata fresca come insalata oppure cotta come ingrediente di primi piatti.

    www.albanesi.it

    Il Personale di Cucina


      Il Personale di Cucina
      Tipologia e ruoli dell’organico di cucina
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        cappelo cuoco

      La brigata di cucina

      Nei tempi passati, fino ai primi anni ’70, l’organico della cucina era composto da molte persone, ognuna con compiti ben precisi, secondo una struttura rigida e gerarchica. Forse proprio per questo, l’insieme del persone di cucina era detto BRIGATA, con termine che richiama il gergo militare. Ogni addetto aveva compiti molto specifici e limitati solo a quei lavori assegnati.

      La descrizione delle mansioni fa riferimento alla riorganizzazione proposta dall’insigne cuoco Auguste Escoffier all’inizio del 1900, tuttora in vigore nella ristorazione classica e internazionale.

      Con il passar degli anni, le tecnologie, l’industrializzazione, le nuove esigenze di gestione delle imprese e alimentari hanno fatto sì ridurre il numero degli addetti. Tutto questo però, ha portato a una riqualificazione più completa del personale introducendo all’intero della ristorazione nuove figure professionali, come: l’executive chef, il consulente e il manager.

      La brigata

      La piccola brigata è formata dallo Chef di cucina e almeno tre capi partita, con i relativi commis. Chef  garde-manger, entremétier e il saucier.

      La brigata media è formata dello Chef di cucina, chef tournant, chef garde-manger, chef entremétier (legumier), chef saucier e chef pâtissier, con i relativi commis.

      La brigata media grande è formata dallo Chef di cucina, sous chef, chef tournant, chef garde-manger, chef entremétier (legumier), chef saucier e chef pâtissier e i  commis.

      La brigata media grande con più sale ristorante è formata da: executive chef  e per ogni cucina ristorante possiamo trovare le seguenti figure professionali: chef di cucina, sous chef, chef tournant, chef garde-manger, chef entremétier (legumier), chef saucier e chef pâtissier, con i commis.

      Mentre una grande brigata di cucina è formata da come è descritta nell’organigramma

      .

      Figure, mansioni e responsabilità

    • Lo chef di cucina è il responsabile del settore cucina, pertanto è la figura che più caratterizza la struttura ristorativa, contribuendo in modo determinante al suo successo. Lo chef di cucina svolge un ruolo complesso che richiede grande esperienza, capacità organizzativa, approfondite conoscenze culturali, psicologiche, economiche-gestionali, merceologico-scientifiche, tecniche e gastronomiche. È fondamentale, che questa figura abbia spiccate competenze relazionali, che usi cioè umanità e comprensione nei rapporti con i collaboratori, così da creare le condizioni in cui questi riescano ad esprimere il meglio di sé. Oltre a ciò, è importante che il capo cuoco impartisca gli ordini e coordini il lavoro con fermezza e calma, e che si rapporti agli altri membri della brigata in modo deciso ed equilibrato allo stesso tempo.

      I compiti dello chef sono numerosi:

      il personale: sceglie i membri della propria brigata, sorveglia, distribuisce i lavori, consiglia e aiuta i collaboratori, in particolare i capi partita, assegna i giorni di congedo e fissa gli orari di lavoro; istruisce il personale di sala per quanto riguarda il menù, il piatto del giorno e la varie ricette di cucina;

      I piatti: indica alla brigata le sue idee per le ricette, gli ingredienti più adatti e i metodi di cottura più indicati, le modalità di esecuzione e di presentazione. Controlla le uscite delle pietanze e le quantità.

      Il menu: compone la carta e il menù del giorno, considerando diversi fattori, come: il numero di personale a disposizione e la loro esperienza professionale, le attrezzature e i vari utensili, le materie prime a disposizione e quelle da reperire, i metodi di cottura, di conservazione e di presentazione.

      Gestione economica: programma gli acquisti, controlla gli acquisti le quantità, la qualità degli stessi. Compila la lista della spesa, controllo il costo pasto e propone i prezzi di vendita alla direzione.

    • Sous chef (sotto chef o secondo cuoco).  Collabora strettamente con lo chef di cucina e lo sostituisce nelle sue assenze. Le sue mansioni sono quindi le stesse. L’importanza di questa figura sta nel fatto che supporta il lavoro del capo cuoco. In brigata il sous chef partecipa con i capi partita alle varie preparazioni, consiglia, aiuta e da disposizioni. Per svolgere tutte queste mansioni, l’aiuto capo cuoco deve avere le medesime conoscenze e abilità del capo cuoco.

      I suoi compiti

      il personale: si assicura che la ripartizione dei compiti fra le varie partite sia equa e si occupa delle necessità di ogni singola partita; fa da tramite fra il capo cuoco e il personale di cucina; controlla la direzione della cucina e sorveglia il personale, relazionandosi con i capi partita; si occupa della formazione degli apprendisti;

      il menù: prima del servizio verifica che tutte le vivande stabilite siano pronte;

      i cibi: assegna a turno ai capi partita il compito di preparare i pasti per il personale; si occupa dell’utilizzo delle rimanenze; controlla  l’uscita delle pietanze  dalla cucina in perfetto stato di presentazione

      I capi partita

      Ciascuno dei capi partita deve naturalmente avere conoscenze specifiche nel proprio settore (antipasti, primi e contorni, carni, pesci, pasticceria). Oggi, inoltre, sempre più sono loro richiesti i saperi e le abilità dell’aiuto capo cuoco, pur senza la responsabilità che questo ruolo comporta.

      Un’altra importante caratteristica di un capo partita è la capacità di relazionarsi con gli aiutanti, in modo da instaurare un clima disteso di collaborazione e fiducia reciproci, dove ciascuno possa rendere al meglio delle sue possibilità.

    • Chef garde-manger responsabile del settore freddo e delle celle frigorifere: stoccaggio, controllo, approvvigionamento di tutte le derrate refrigerate e di distribuzione delle stesse nelle varie partite. E’ impegnato alla preparazione delle carni, dei piatti freddi, delle salse fredde, degli antipasti freddi e dei secondi piatti freddi. In una grande brigata collaborano con lui lo chef Bouscher (macellaio) e lo chef Poissonier (responsabile dei pesci, molluschi e crostacei)

    • Chef saucier in una grande brigata è responsabile solo delle salse calde e delle relative guarnizione collaborano con lui lo chef Rôtisseur (alla cottura al forno, girarrosto, in casseruola), chef Grillarin (alla griglia), chef Friturier (alla frittura). Mentre in una media o piccola brigata lo chef saucier svolge anche le mansioni dei suoi collaboratori.

    • Chef entremetier responsabile del settore primi piatti e contorni; lo chef entremetier riveste un ruolo importante perché si occupa delle preparazioni di tutti i primi piatti, dalle paste asciutte, zuppe, creme, brodi e consommé, farinacei, uova, timballi, risotti e tutte le preparazioni che fanno parte della categoria dei primi piatti. Nei grandi alberghi collaborano con lui lo chef Potagerlo chef Legumier addetto alla preparazione dei contorni.

    • Chef Patissier responsabile della pasticceria, ricopre un ruolo molto impostante. Lo chef pasticciere deve possedere abilità specifiche e la conoscenza dell’arte dolciaria, fantasia e senso artistico, nozioni di igiene alimentare.

      I suoi compiti

      – concorda col capo cuoco la scelta del dolce in relazione al menù

      – prepara paste lievitate e non, per le prime colazioni

      – paste salate e dolci e le confeziona, torte e dolci al piatto

      – piccola pasticceria, tradizionale e moderna

      –  presentazioni di zucchero e cioccolato

      – gelati e sorbetti

      – salse e guarniture

    • Chef tournant (tornante). Sostituisce gli chef di partita assenti per turno di riposo. Lo chef tournant deve possedere le competenze e le conoscenze di tutti i reparti il suo grado è pari al sous chef.
    • Chef de garde (cuoco di guardia). Figura professionale che si trova nei grandi alberghi dove si offre un servizio di ristorante notturno, i suoi compiti oltre ad essere quelli di servire i clienti, prepara quanto richiesto dallo chef di cucina e controlla i cibi in cottura.
    • Chef communard responsabile dei pasti del personale, nei grandi alberghi collabora nella preparazione con lo chef entremetier per i primi e con lo chef rotisseur per i secondi piatti.
    • Lo chef aboyer annunciatore. È la persona che durante il servizio si occupa di annunciare le comande e controlla le pietanze in uscita. Durante la giornata aiuta lo chef di cucina nella gestione amministrativa.
    • Il commis di cucina è un giovane cuoco, con  esperienze lavorative minime e il diploma dell’Istituto alberghiero. È necessaria una particolare predisposizione a imparare il mestiere, preferibilmente coltivata e affinata grazie allo studio. Il numero dei commis varia a seconda dell’importanza della brigata. Il commis di cucina collabora strettamente  con il proprio capo partita, i compi sono:

    – prepara le basi e i fondi di cottura, trasporta le merci e le pietanze al passe;

    – pulisce i legumi e prepara la “linea” standard e del giorno;

    – mantiene in ordine la biancheria di cucina;

    – pulisce le macchine della cucina e della pasticceria, i tavoli,  i piccoli utensili e mantiene in ordine le celle frigorifere;

    – esegue quanto richiesto di volta in volta dai rispettivi capi partita.

    Garzone/lavapiatti/lavapentole

    Secondo la grandezza della struttura, questi compiti possono essere svolti da un’unica persona o da più persone.

    prof Giuseppe Azzarone

    Mormore all’acqua sel’ alla Montanèr


    Mormore all’acqua pazza alla Montanaramormore

    Categoria Secondo a base di pesce Reparti Garde-manger, Saucier Utensili Casseruola, schiumarola, mestolo Metodi di cottura lessare

    Ingredienti

    • Mormore da g 250 circa n 4
    • Acqua q b
    • Olio extravergine d’oliva
    • Pomodorini n 4
    • Foglie di prezzemolo q b
    • Spicchi d’aglio n 2
    • Foglia d’alloro n 1
    • Succo di un limone
    • Sale grosso

    Procedimento

    Pulire e lavare molto bene il pesce. In una casseruola bassa mettere l’acqua e tutti gli ingredienti portare ad ebollizione, ai primi bollori adagiare il pesce e farlo cuocere a bollori moderati per cinque minuti circa. Alzare dal liquido le mormore e porle  nei piatti, mettere un po’ di liquido di cottura irrorare con un filo di olio extravergine d’oliva e servire con una fetta di pane di Montanaro.

    Alici fritte alla pugliese


    Categoria: Secondi piatti di pesce  Reparti: Garde-manger, Saucier Utensili: Tagliere, spelucchino, trinciante, schiumarola, bacinella, frusta, vassoio  Metodi di cottura: Friggere

    Ingredienti pax 4Alici fritte alla pugliese

    • Alici fresche kg 1
    • Farina di grano duro q b
    • Uova circa n 3
    • Prezzemolo tritato
    • Pecorino un cucchiaio
    • Sale fino e limone

    Procedimento

    Mondare le alici, aprirle in due e togliere la lisca lasciando solo la coda, lavarle e asciugarle molto bene. Battere le uova in una bacinella, mettere un pizzico di sale, il prezzemolo tritato e un cucchiaio di pecorino, mescolare molto bene con la frusta. Infarinare le alici, passarle nell’uovo e successivamente friggetele possibilmente nell’olio d’oliva. Porre la frittura su carta e condire con sale e se desiderate con succo di un limone.

    La cipolla


      Oggi voglio parlare della: cipolla………….
      La cipolla

    Le cipolle sono piante aromatiche originarie dell’Asia settentrionale e della Palestina. Le cipolle sono considerate un vero e proprio toccasana, alcuni esperimenti hanno dimostrato che mangiare cipolle crude può contribuire a ridurre i livelli di colesterolo nel sangue. Si sta anche verificando la loro capacità di protezione contro i tumori, poiché si pensa che i composti solforosi che esse contengono possano contribuire a prevenire la crescita delle cellule cancerose. Esistono molte varietà di cipolle, che prendono in genere il nome dalla zona di coltivazione, dalla forma, dal colore, dalle dimensioni del bulbo, dalla precocità o, più in generale, dal colore delle tuniche esterne (cioè la buccia che ricopre il globo interno). Tale buccia può essere bianca, giallo-dorata o rossa. Varietà comuni:

    • cipolla rossa di Tropea
    • cipolla rossa di Acquaviva delle Fonti
    • cipolla di Suasa
    • cipolla rossa di Certaldo
    • cipolla ramata di Montoro
    • cipolla borettana
    • cipolla di Brunate: piccola, bianca, ottima per la preparazione di sottaceti
    • cipolla di Cannara
    • cipolla dolce
    • Le cipolle vengono coltivate per i loro fusti verdi, detti scaglioni, e per i loro bulbi. Hanno bisogno di un terreno ricco e umido ma mai troppo inzuppato di acqua. Diversi tipi di cipolla richiedono diverse condizioni climatiche e diverse ore di sole ogni giorno. La coltivazione da seme avviene piantando i semi direttamente nel terreno a 1 cm di profondità, lasciando circa 10 cm di spazio da pianta a pianta. Una volta avvenuta la semina bisogna attendere dai 90 ai 120 giorni prima del raccolto. Nei climi miti la cipolla può essere coltivata anche in inverno, altrimenti la cipolla è una pianta tipicamente primaverile.

      L’uso in cucina

      La cipolla è uno degli aromi più usati nella cucina di tutti i paesi. Il suo gusto particolare dà alle preparazioni quel sapore che esalta gli altri ingredienti usati nei vari piatti della cucina nazionale e internazionale.

      – Le cipolle bianche sono adatte per le cotture, gusto agre e piuttosto pungente.

      – Le cipolle rosse sono le più indicate a crudo, gusto dolce e delicato, la rossa di tropea la più conosciuta.

      – Cipolle dorate da consumare solo cotte, gusto decisamente pungente.

      – I cipollotti più delicati, adatti a crudo, si trovano in primavera, gusto pungente.

      – I porri consistenza carnosa ma anche teneri e croccanti, gusto delicato, utilizzati prevalentemente cotti.

      – Lo scalogno a bulbo grosso sono i più dolci, quelli tondi e rossi ricordano di più la cipolla, gusto delicato, metà tra l’aglio e la cipolla. Utilizzato in molte salse bianche, come ad esempio la salsa béarnaise.

      Marmellata di cipolla rossa

      Ingredienti

      • Cipolla di Tropea kg 1
      • Alloro n 2 foglie
      • Chiodi di garofano n5
      • Brandy un quarto di bicchiere
      • Vino bianco mezzo bicchiere
      • Buccia di un limone e arancio a julienne
      • Uvetta sultanina g 10
      • Zucchero g 250
      • Zucchero di canna g 250
      • Miele 2 cucchiai

      Procedimento

      Pulire, lavare e tagliare a fette le cipolle, metterle in una casseruola bassa e unire tutti gli ingredienti ad esclusione del miele, mescolare bene e lasciare macerare per un paio di ore. Mettere il recipiente sul fuoco e portare ad ebollizione per un’ora circa, verificare la densità e frullare leggermente, unire il miele, mescolare e lasciare raffreddare. Usata principalmente per accompagnare i formaggi.

      prof Giuseppe Azzarone

      Comportamenti in laboratorio


        NORME PER LA PARTECIPAZIONE ALLE ESERCITAZIONI PRATICHE DI CUCINA SALA-BAR E RICEVIMENTO DEI CORSI CURRICOLARI E DI TERZA AREA
        Ai sensi della normativa riguardante la sicurezza e l’igiene delle persone e dei locali di lavoro *(d.l. 155/97 e d. lgs 626/94) gli allievi, durante le esercitazioni nei laboratori, sono da considerarsi a tutti gli effetti di legge “lavoratori

        1. Per la partecipazione alle esercitazioni di Laboratorio di Cucina, Sala-bar e Ricevimento è necessario che gli allievi e il personale interessato abbiano preso visione e sottoscritto l’informativa di cui alla L.R. 19/12/2003 art. 41. Tale adempimento verrà espletato agli allievi durante i primi giorni di scuola a cura dei docenti tecnico pratici.
        2. E’ assolutamente vietato l’ingresso nei laboratori ad allievi, docenti, personale A.T.A., non impegnato nelle esercitazioni.
        3. Gli estranei possono accedere ai reparti di esercitazione solo previo consenso della Presidenza, accompagnati dal personale autorizzato.
        4. Gli allievi possono partecipare alle esercitazioni pratiche solo se indossano la divisa di settore completa (ordinata e pulita) prevista dall’Istituto.
        5. Gli allievi devono:
        ­ Osservare la massima e scrupolosa pulizia della persona;
        ­ le mani saranno ben pulite e curate;
        ­ si consiglia alle ragazze di evitare il trucco troppo marcato, orecchini e anelli. Nessun tipo di orecchino è previsto per i ragazzi;
        ­ i ragazzi dovranno presentare un aspetto curato, la barba dovrà essere scrupolosamente rasata;
        ­ i capelli avranno un taglio corto e dovranno sempre essere puliti e ben pettinati. Non devono assolutamente scendere sugli occhi durante il lavoro. I capelli lunghi si sporcano più facilmente, sono più difficili da mantenere pettinati e fanno sudare maggiormente. Il colore degli stessi deve essere consono all’attività professionale scelta, pertanto i colori sgargianti, diversi da quelli naturali sono da evitare.

        1) Per le esercitazioni pratiche gli allievi del biennio Cucina, Sala-bar e Ricevimento devono indossare:
        a) Cappello da cuoco di stoffa (cucina).
        b) Fazzoletto bianco (cucina).
        c) Pantalone colore nero poly 100% no stiro (cucina, sala, ricevimento).
        d) Giacca coreana cotone 100% bottone dorato (cucina, sala, ricevimento).
        e) Grembiule bianco con pettorina (cucina).
        f) Calzini neri (cucina, sala, ricevimento).
        g) Scarpe nere a norma CE 345 S2, antiscivolo, antistatiche con puntale in acciaio (cucina, sala, ricevimento).
        h) n° 1 torcione (cucina).

        2) Per le esercitazioni pratiche gli allievi del Monoennio Cucina e Sala-bar devono indossare la divisa consigliata dal docente.
        3) Per le esercitazioni pratiche classi Post-qualifica Ristorazione gli allievi dovranno indossare:
        a) Cappello da cuoco di stoffa (cucina, sala-bar).
        b) Fazzoletto bianco (cucina).
        c) Pantalone colore nero poly 100% no stiro (cucina, sala-bar).
        d) Giacca coreana cotone 100% bottone dorato e giacca da cuoco doppio petto bianca con bottoni bianchi (cucina, sala-bar).
        e) Grembiule bianco con pettorina (cucina).
        f) Calzini neri (cucina, sala-bar).
        g) Scarpe nere a norma CE 345 S2, antiscivolo, antistatiche con puntale in acciaio (cucina e sala-bar).
        h) n° 1 torcione (cucina).
        4) Per le esercitazioni pratiche di Ricevimento e Post-qualifica Turismo gli allievi dovranno indossare:
        a) la divisa consigliata dal docente.
        ­ Gli allievi non in possesso della divisa o privi di una parte di essa potranno essere inseriti, a cura della Presidenza in classi parallele.
        ­ Gli allievi durante le esercitazioni se volontariamente hanno un comportamento poco responsabile da poter recare danni alla salute di se stessi e degli altri, saranno allontanati con rapporti disciplinari e a cura della Presidenza potranno essere inseriti in classi parallele.
        ­ I laboratori sono locali alla pari delle aule, tutto il personale dell’Istituto deve avere il giusto riguardo. La tranquillità e la serietà professionale aiutano a gli allievi a crescere.

        ­ Gli allievi non possono recarsi in altri reparti anche all’interno dell’Istituto se non autorizzati dal docente, in particolare è vietato l’accesso al magazzino.

        ­ Agli allievi in esercitazione pratiche non è consentito fare la ricreazione nello stesso orario degli altri allievi, tranne pervia autorizzazione del docente. Per gli allievi di cucina non è consentito.

        ­ Agli allievi è consentito l’accesso agli spogliatoi all’inizio e al termine delle esercitazioni pratiche per i dieci minuti necessari al cambio delle divise. All’infuori di tale orario è severamente vietato l’accesso agli spogliatoi se non accompagnati dal docente o da altra persona incaricata a tale mansione.
        Per ciò che riguarda gli spogliatoi è bene ricordare:
        1. Chiedere informazioni su quale spogliatoio utilizzare per effettuare il cambio divisa.
        2. Mantenere in ordine i locali.
        3. Non lasciare incustoditi oggetti di valore o denaro.
          La consumazione di quanto preparato durante le esercitazioni è oggetto di esperienza e studio. Tale consumazione fa parte integrante della didattica. Gli allievi dovranno tenere un comportamento finalizzato al pieno rispetto delle regole del galateo. Non è consentito agli allievi che usufruiscono del servizio di ristorazione abbandonare i tavoli senza l’autorizzazione del docente.
          Possono partecipare alla consumazione tutti i docenti liberi da impegni e che appartengono al Consiglio di Classe, questo momento diventa utile per approfondire e interdisciplinare i contenuti.
          Al termine delle esercitazioni i docenti si accerteranno che gli allievi coordinati dagli aiutanti tecnici abbiano provveduto:
          o alla pulizia dell’attrezzatura utilizzata e al suo riordino nelle apposite scaffalature.
          o All’ igienizzazione dei lavandini, dei piani di cottura, dei piani d’appoggio e di lavoro dei vari laboratori, secondo il piano H.A.C.C.P.
          o L’accesso alle macchine va fatto sotto il controllo del docente o dell’assistente tecnico.
          o Il comportamento e la disciplina degli allievi nei laboratori dovrà essere ineccepibile, considerata la presenza nei locali di macchinari e attrezzature che richiedono particolare attenzione nel loro utilizzo.
          Gli allievi che trasgrediscono quanto disposto verranno immediatamente allontanati dai laboratori e il docente di turno redigerà rapporto al Dirigente Scolastico circa la trasgressione.

          1) I laboratori possono essere aperti solo con la presenza degli assistenti tecnici.
          2) Gli assistenti tecnici sono i responsabili di tutte le attrezzature e gli utensili dei laboratori, devono provvedere alla manutenzione ordinaria e straordinaria degli stessi.
          3) Le macchine possono essere utilizzate solo in presenza degli assistenti tecnici.
          4) L’assistente tecnico nelle ore di servizio non può allontanarsi dal laboratorio per nessun motivo, previa autorizzazione del docente.
          5) L’assistente tecnico deve provvedere al prelievo e controllo degli ingredienti utili per l’esercitazione in collaborazione con l’economo e il magazziniere che è tenuto al trasporto delle merci e alla consegna nel laboratorio. Gli alimenti in laboratorio devo pervenire 15 minuti prima dell’inizio delle esercitazioni e, il magazzino deve garantire per le ore di lezioni la disponibilità in caso di emergenze al prelievo di altri ingredienti.
          6) Il personale A.T.A. in servizio nei laboratori deve indossare la divisa idonea consigliata dall’Istituto e deve collaborare attivamente con il docente di servizio.
          7) I docenti ITP e i docenti esperti devono consegnare all’assistente tecnico il buono prelievo delle esercitazioni, scritto sull’apposito modello. La richiesta deve pervenire la settimana prima dell’esercitazione pratica, non oltre il venerdì.
          8) Tutto il personale ha il compito di educare l’allievo.
          SICUREZZA SUL LAVORO
          Ogni attività umana comporta dei rischi, anche il semplice camminare; questi rischi però possono essere ridotti al minimo adottando opportuni accorgimenti. La sicurezza è un aspetto importante di ogni professione, valorizzato anche da recenti normative (626) che nel recepire le direttive comunitarie, hanno introdotto un nuovo modo di affrontare il problema sicurezza, obbligando i datori di lavoro e il personale a studiarlo, prevederlo e prevenirlo.
          I giovani sono tra le categorie di lavoratori più a rischio per gli infortuni, i primi in genere per inesperienza, scarso addestramento e per il tipico impeto giovanile.
          Ecco di seguito elencate alcune regole che ogni lavoratore deve rispettare:
          o Osservare le disposizioni.
          o Utilizzare correttamente le attrezzature, i macchinari.
          o Segnalare eventuali anomalie di funzionamento.
          o Segnalare eventuali situazioni di pericolo.

          Vieste __________________________
          Il Dirigente Scolastico

          _________________________________

           
           
          IL TESTO DELLA LEGGE 626/94
          ART. 1 – Campo di applicazione
          1. Il presente decreto legislativo prescrive misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, in tutti i settori di attività privati o pubblici.
          2. Nei riguardi delle Forze Armate e di Polizia e dei servizi di protezione civile, le norme del presente decreto sono applicate tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato e delle attribuzioni loro proprie, individuate con decreto del Ministro competente di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della sanità e della funzione pubblica.
          3. Nei riguardi dei lavoratori di cui alla legge 18 dicembre 1973, n. 877, nonché dei lavoratori con rapporto contrattuale privato di portierato, le norme del presente decreto si applicano nei casi espressamente previsti.
          4. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e relative norme di attuazione.

          ART. 2 – Definizioni

          1. Agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto si intendono per:
          a) lavoratore: persona che presta il proprio lavoro alle dipendenze di un datore di lavoro, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari, con rapporto di lavoro subordinato anche speciale. Sono equiparati i soci lavoratori di cooperative o di società, anche di fatto, e gli utenti dei servizi di orientamento o di formazione scolastica, universitaria e professionale avviati presso datori di lavoro per agevolare o per perfezionare le loro scelte professionali. Sono altresì equiparati gli allievi degli istituti di istruzione ed universitari, e i partecipanti a corsi di formazione professionale nei quali si faccia uso di laboratori, macchine, apparecchi ed attrezzature di lavoro in genere, agenti chimici, fisici e biologici;
          b) datore di lavoro: qualsiasi persona fisica o giuridica o soggetto pubblico che è titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore e abbia la responsabilità dell’impresa ovvero dello stabilimento;
          c) servizio di prevenzione e protezione dai rischi: insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali nell’azienda, ovvero unità produttiva;
          d) medico competente: medico in possesso di uno dei seguenti titoli:
          1) specializzazione in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o specializzazione equipollente;
          2) docenza o libera docenza in medicina del lavoro o in medicina preventiva dei lavoratori e psicotecnica o in tossicologia industriale o in igiene industriale o in fisiologia ed igiene del lavoro;
          3) autorizzazione di cui all’art. 55 del Decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277;
          e) responsabile del servizio di prevenzione e protezione: persona designata dal datore di lavoro in possesso di attitudini e capacità adeguate;
          f) rappresentante dei lavoratori per la sicurezza: persona, ovvero persone, elette o designate per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e sicurezza durante il lavoro;
          g) prevenzione: il complesso delle disposizioni o misure adottate o previste in tutte le fasi dell’attività lavorativa per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno;
          h) agente: l’agente chimico, fisico o biologico, presente durante il lavoro e potenzialmente dannoso per la salute.
          ART. 3 -Misure generali di tutela
          1. Le misure generali per la protezione della salute e per la sicurezza dei lavoratori sono:
          a) valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza;
          b) eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e, ove ciò non è possibile, loro riduzione al minimo;
          c) riduzione dei rischi alla fonte;
          d) programmazione della prevenzione mirando ad un complesso che integra in modo coerente nella prevenzione le condizioni tecniche produttive ed organizzative dell’azienda nonché l’influenza dei fattori dell’ambiente di lavoro;
          e) sostituzione di ciò che è pericoloso con ciò che non lo è, o è meno pericoloso;
          f) rispetto dei principi ergonomici nella concezione dei posti di lavoro, nella scelta delle attrezzature e nella definizione dei metodi di lavoro e produzione, anche per attenuare il lavoro monotono e quello ripetitivo;
          g) priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale;
          h) limitazione al minimo del numero dei lavoratori che sono, o che possono essere, esposti al rischio;
          i) utilizzo limitato degli agenti chimici, fisici e biologici, sui luoghi di lavoro;
          l) controllo sanitario dei lavoratori in funzione dei rischi specifici;
          m) allontanamento del lavoratore dall’esposizione a rischio, per motivi sanitari inerenti alla sua persona;
          n) misure igieniche;
          o) misure di protezione collettiva ed individuale;
          p) misure di emergenza da attuare in caso di pronto soccorso, di lotta antincendio, di evacuazione dei lavoratori e di pericolo grave ed immediato;
          q) uso di segnali di avvertimento e di sicurezza;
          r) regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, macchine ed impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti;
          s) informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti, sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro;
          t) istruzioni adeguate ai lavoratori.
          2. Le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori.
          ART. 4 – Obblighi del datore di lavoro, del dirigente e del preposto
          1. Il datore di lavoro è tenuto all’osservanza delle misure generali di tutela previste dall’art. 3 e, in relazione alla natura dell’attività dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, deve valutare, nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti i gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari.
          2. All’esito della valutazione di cui al comma 1, il datore di lavoro elabora un documento contenente:
          a) una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale sono specificati i criteri adottati per la valutazione stessa;
          b) l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate in conseguenza della valutazione di cui alla lettera a), nonché delle attrezzature di protezione utilizzate;
          c) il programma di attuazione delle misure di cui alla lettera b).
          3. Il documento è custodito presso l’azienda ovvero unità produttiva.
          4. Il datore di lavoro designa gli addetti al servizio di prevenzione e protezione ed il relativo responsabile o incarica persone o servizi esterni all’azienda, e nomina, nei casi previsti dall’art. 16, il medico competente.
          5. Il datore di lavoro, il dirigente e il preposto che esercitano, dirigono o sovraintendono le attività indicate all’art. 1, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, adottano le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ed in particolare:
          a) designano i lavoratori incaricati dell’attuazione delle misure di prevenzione incendi, di evacuazione dei lavoratori in caso di pericolo grave ed immediato e di pronto soccorso;
          b) aggiornano le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e della sicurezza del lavoro, ovvero in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione e della protezione;
          c) nell’affidare i compiti ai lavoratori tengono conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e alla sicurezza;
          d) forniscono ai lavoratori i necessari ed idonei mezzi di protezione;
          e) prendono le misure appropriate affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;
          f) richiedono l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme e delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e di uso dei mezzi di protezione collettivi ed individuali messi a loro disposizione;
          g) richiedono l’osservanza da parte del medico competente degli obblighi previsti dal presente decreto, informandolo sui processi e sui rischi connessi all’attività produttiva;
          h) adottano le misure per il controllo per le situazioni di rischio in caso di emergenza e danno istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato ed inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;
          i) informano il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave ed immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione;
          l) si astengono, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato;
          m) permettono ai lavoratori di verificare, mediante il rappresentante per la sicurezza, l’applicazione delle misure di sicurezza e di protezione della salute;
          n) prendono appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possono causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno;
          o) tengono un registro nel quale sono annotati cronologicamente gli infortuni sul lavoro che comportano un’assenza dal lavoro superiore a tre giorni, compreso quello dell’evento. Nel registro sono annotati il nome, il cognome, la qualifica professionale dell’infortunato, le cause e le circostanze dell’infortunio, nonché la data di abbandono e di ripresa del lavoro. Il registro sul luogo di lavoro è tenuto conformemente al modello approvato con decreto del
          Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentita la commissione consultiva permanente di cui all’articolo 394 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, ed è conservato sul luogo di lavoro, a disposizione dell’organo di vigilanza;
          p) consultano il rappresentante per la sicurezza nei casi previsti dall’articolo 19, comma 1, lettere b), c) e d);
          q) adottano le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell’evacuazione dei lavoratori, nonché per il caso di pericolo grave ed immediato. Tali misure devono essere adeguate alla natura dell’attività, alle dimensioni dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, e al numero delle persone presenti.
          6. Il datore di lavoro effettua la valutazione di cui al comma 1 ed elabora il documento di cui al comma 2 in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e con il medico competente, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza.
          7. La valutazione di cui al comma 1 ed il documento di cui al comma 2 sono rielaborati in occasione di modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori.
          8. Al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro consegna al lavoratore copia della cartella sanitaria e di rischio.
          9. Per le piccole e medie aziende, con decreto dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale, dell’industria, del commercio e dell’artigianato e della sanità, sentita la Commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e per l’igiene del lavoro, in relazione alla natura dell’attività e alle dimensioni dell’azienda, ad eccezione delle attività industriali di cui all’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica del 17 maggio 1988, n. 175, delle centrali termoelettriche, degli impianti e laboratori nucleari, delle aziende estrattive e altre attività minerarie, delle aziende per la fabbricazione e il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni, sono definiti:
          a) procedure standardizzate per gli adempimenti documentali di cui al presente articolo;
          b) i casi, relativi ad ipotesi di scarsa pericolosità, nei quali è possibile lo svolgimento diretto dei compiti di prevenzione e protezione oltre i limiti di addetti di cui all’allegato I;
          c) i casi in cui è possibile la riduzione ad una sola volta all’anno della visita, di cui all’art. 17, lettera h), degli ambienti di lavoro da parte del medico competente, ferma restando l’obbligatorietà di visite ulteriori, allorché si modificano le situazioni di rischio.
          10. Il decreto di cui al comma 9 deve essere emanato entro otto mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.
          ART. 5 – Obblighi dei lavoratori
          1. Ciascun lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione ed alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
          2. In particolare i lavoratori:
          a) osservano le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;
          b) utilizzano correttamente i macchinari, le apparecchiature, gli utensili, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto e le altre attrezzature di lavoro, nonché i dispositivi di sicurezza;
          c) utilizzano in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione;
          d) segnalano immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dispositivi di cui alle lettere b) e c), nonché le altre eventuali condizioni di pericolo di cui vengono a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle loro competenze e possibilità, per eliminare o ridurre tali deficienze o pericoli, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;
          e) non rimuovono o modificano senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo;
          f) non compiono di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;
          g) si sottopongono ai controlli sanitari previsti nei loro confronti;
          h) contribuiscono, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento di tutti gli obblighi imposti dall’autorità competente o comunque necessari per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori durante il lavoro.
          ART. 6 – Obblighi dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori e degli installatori
          1. I progettisti dei luoghi o posti di lavoro e degli impianti rispettano i principi generali di prevenzione in materia di sicurezza e di salute al momento delle scelte progettuali e tecniche e scelgono macchine nonché dispositivi di protezione rispondenti ai requisiti essenziali di sicurezza previsti nella legislazione vigente.
          2. Sono vietati la vendita, il noleggio, la concessione in uso e la locazione finanziaria di macchine, attrezzature di lavoro e di impianti non rispondenti alla legislazione vigente.
          3. Gli installatori e montatori di impianti, macchine o altri mezzi tecnici devono attenersi alle norme di sicurezza e di igiene del lavoro, nonché alle istruzioni fornite dai rispettivi fabbricanti dei macchinari e degli altri mezzi tecnici per la parte di loro competenza.
          ART. 7 – Contratto di appalto o contratto d’opera
          1. Il datore di lavoro, in caso di affidamento dei lavori all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi:
          a) verifica, anche attraverso l’iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, l’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici o dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare in appalto o contratto d’opera;
          b) fornisce agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività;
          2. Nell’ipotesi di cui al comma 1 i datori di lavoro:
          a) cooperano all’attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa oggetto dell’appalto;
          b) coordinano gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese coinvolte nell’esecuzione dell’opera complessiva.
          3. Il datore di lavoro promuove il coordinamento di cui al comma 2, lettera b). Tale obbligo non si estende ai rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi.
          ART. 8 – Servizio di prevenzione e protezione
          1. Salvo quanto previsto dall’art. 10, il datore di lavoro organizza all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, il servizio di prevenzione e protezione, o incarica persone o servizi esterni all’azienda, secondo le regole di cui al presente articolo.
          2. Il datore di lavoro designa all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, una o più persone da lui dipendenti per l’espletamento dei compiti di cui all’articolo 9, tra cui il responsabile del servizio in possesso di attitudini e capacità adeguate, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza.
          3. I dipendenti di cui al comma 2 devono essere in numero sufficiente, possedere le capacità necessarie e disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati. Essi non possono subire pregiudizio a causa dell’attività svolta nell’espletamento del proprio incarico.
          4. Il datore di lavoro può avvalersi di persone esterne all’azienda in possesso delle conoscenze professionali necessarie per integrare l’azione di prevenzione e protezione.
          5. L’organizzazione del servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda, ovvero dell’unità produttiva, è comunque obbligatoria nei seguenti casi:
          a) nelle aziende industriali di cui all’art. 1 del decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988, n. 175;
          b) nelle centrali termoelettriche;
          c) negli impianti e laboratori nucleari;
          d) nelle aziende per la fabbricazione ed il deposito separato di esplosivi, polveri e munizioni;
          e) nelle aziende industriali con oltre 200 lavoratori dipendenti;
          f) nelle industrie estrattive con oltre 50 lavoratori dipendenti.
          6. Se la capacità dei dipendenti all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, sono insufficienti, il datore di lavoro può far ricorso a persone o servizi esterni all’azienda, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza.
          7. Il servizio esterno deve essere adeguato alle caratteristiche dell’azienda, ovvero unità produttiva, a favore della quale è chiamato a prestare la propria opera, anche con riferimento al numero degli operatori.
          8. Il responsabile del servizio esterno deve possedere attitudini e capacità adeguate.
          9. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, con decreto di concerto con i Ministri della sanità e dell’industria, del commercio e dell’artigianato, sentita la commissione consultiva permanente, può individuare specifici requisiti, modalità e procedure, per la certificazione dei servizi, nonché il numero minimo degli operatori di cui ai commi 3 e 7.
          10. Qualora il datore di lavoro ricorra a persone o servizi esterni egli non è per questo liberato dalla propria responsabilità in materia.
          11. Il datore di lavoro comunica all’ispettorato del lavoro e alle unità sanitarie locali territorialmente competenti il nominativo della persona designata come responsabile del servizio di prevenzione e protezione interno ovvero esterno all’azienda. Tale comunicazione è corredata da una dichiarazione nella quale si attesti con riferimento alle persone designate:
          a) i compiti svolti in materia di prevenzione e protezione;
          b) il periodo nel quale tali compiti sono stati svolti;
          c) il curriculum professionale.
          ART. 9 – Compiti del servizio di prevenzione e protezione
          1. Il servizio di prevenzione e protezione dai rischi professionali provvede:
          a) all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale;
          b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive e i sistemi di cui all’art. 4, comma 2, lettera b) e i sistemi di controllo di tali misure;
          c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;
          d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;
          e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e di sicurezza di cui all’art. 11;
          f) a fornire ai lavoratori le informazioni di cui all’art. 21.
          2. Il datore di lavoro fornisce ai servizi di prevenzione e protezione informazioni in merito a:
          a) la natura dei rischi;
          b) l’organizzazione del lavoro, la programmazione e l’attuazione delle misure preventive e protettive;
          c) la descrizione degli impianti e dei processi produttivi;
          d) i dati del registro degli infortuni e delle malattie professionali;
          e) le prescrizioni degli organi di vigilanza.
          3. I componenti del servizio di prevenzione e protezione e i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza sono tenuti al segreto in ordine ai processi lavorativi di cui vengono a conoscenza nell’esercizio delle funzioni di cui al presente decreto.
          4. Il servizio di prevenzione e protezione è utilizzato dal datore di lavoro.
          ART. 10 – Svolgimento diretto da parte del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi
          1. Il datore di lavoro può svolgere direttamente i compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dai rischi nonché di prevenzione incendi e di evacuazione, nei casi previsti nell’allegato I, dandone preventiva informazione al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ed alle condizioni di cui ai commi successivi. Esso può avvalersi della facoltà di cui all’art. 8, comma 4.
          2. Il datore di lavoro che intende svolgere i compiti di cui al comma 1, deve frequentare apposito corso di formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro, promosso anche dalle associazioni dei datori di lavoro e trasmettere all’organo di vigilanza competente per territorio:
          a) una dichiarazione attestante la capacità di svolgimento dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi;
          b) il documento di cui all’art. 4, commi 2 e 3;
          c) una relazione sull’andamento degli infortuni e delle malattie professionali della propria azienda elaborata in base ai dati degli ultimi tre anni del registro infortuni o, in mancanza dello stesso, di analoga documentazione prevista dalla legislazione vigente;
          d) l’attestazione di frequenza del corso di formazione in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro.
          ART. 11 – Riunione periodica di prevenzione e protezione dai rischi
          1. Nelle aziende, ovvero unità produttive, che occupano più di 15 dipendenti, il datore di lavoro, direttamente o tramite il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, indice almeno una volta all’anno una riunione cui partecipano:
          a) il datore di lavoro o un suo rappresentante;
          b) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi;
          c) il medico competente ove previsto;
          d) il rappresentante per la sicurezza.
          2. Nel corso della riunione il datore di lavoro sottopone all’esame dei partecipanti:
          a) il documento, di cui all’art. 4, commi 2 e 3;
          b) l’idoneità dei mezzi di protezione individuale;
          c) i programmi di informazione e formazione dei lavoratori ai fini della sicurezza e della protezione della loro salute.
          3. La riunione ha altresì luogo in occasione di eventuali significative variazioni delle condizioni di esposizione al rischio, compresa la programmazione e l’introduzione di nuove tecnologie che hanno riflessi sulla sicurezza e salute dei lavoratori.
          4. Nelle aziende, ovvero unità produttive, che occupano fino a 15 dipendenti, nelle ipotesi di cui al comma 3, il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza può chiedere la convocazione di di una apposita riunione.
          5. il datore di lavoro, anche tramite il servizio di prevenzione e protezione dai rischi, provvede alla redazione del verbale della riunione che è tenuto a disposizione dei partecipanti per la sua consultazione.
          ART. 12 – Disposizioni generali
          1. Ai fini degli adempimenti di cui all’art. 4, comma 5, lett. q), il datore di lavoro:
          a) organizza i necessari rapporti con i servizi pubblici competenti in materia di pronto soccorso, salvataggio, lotta antincendio e gestione dell’emergenza,
          b) designa i lavoratori incaricati di attuare le misure di pronto soccorso, salvataggio, prevenzione incendi, lotta antincendi e gestione dell’emergenza;
          c) informa tutti i lavoratori che possono essere esposti ad un pericolo grave ed immediato circa le misure predisposte ed i comportamenti da adottare;
          d) programma gli interventi, prende i provvedimenti e dà istruzioni affinché i lavoratori possano, in caso di pericolo grave ed immediato che non può essere evitato, cessare la loro attività, ovvero mettersi al sicuro, abbandonando immediatamente il luogo di lavoro;
          e) prende i provvedimenti necessari affinché qualsiasi lavoratore, in caso di pericolo grave ed immediato per la propria sicurezza ovvero per quella di altre persone e nell’impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, possa prendere le misure adeguate per evitare le conseguenze di tale pericolo, tenendo conto delle sue conoscenze e dei mezzi tecnici disponibili.
          2. Ai fini delle designazioni di cui al comma 1, lettera b), il datore di lavoro tiene conto delle dimensioni dell’azienda ovvero dei rischi specifici dell’azienda ovvero dell’unità produttiva.
          3. I lavoratori non possono, se non per giustificato motivo, rifiutare la designazione. Essi devono essere formati, essere in numero sufficiente e disporre di attrezzature adeguate, tenendo conto delle dimensioni ovvero dei rischi specifici dell’azienda ovvero dell’unità produttiva.
          4. Il datore di lavoro deve, salvo eccezioni debitamente motivate, astenersi dal chiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato.
          ART. 13 – Prevenzione incendi
          1. Fermo restando quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 29 luglio 1982, n.577, i Ministri dell’interno, del lavoro e della previdenza sociale, in relazione al tipo di attività, al numero dei lavoratori occupati ed ai fattori di rischio, adottano uno o più decreti nei quali sono definiti:
          a) criteri diretti ad individuare:
          1) misure intese ad evitare l’insorgere di un incendio e a limitarne le conseguenze qualora esso si verifichi;
          2) misure precauzionali di esercizio;
          3) metodi di controllo e manutenzione degli impianti e delle attrezzature antincendio;
          4) criteri per la gestione delle emergenze;
          b) le caratteristiche dello specifico servizio di prevenzione e protezione antincendio di cui all’art. 12, compresi i requisiti del personale addetto e la sua formazione.
          ART. 14 – Diritti dei lavoratori in caso di pericolo grave ed immediato
          1. Il lavoratore che, in caso di pericolo grave, immediato e che non può essere evitato, si allontana dal posto di lavoro ovvero da una zona pericolosa, non può subire pregiudizio alcuno e deve essere protetto da qualsiasi conseguenza dannosa.
          2. Il lavoratore che, in caso di pericolo grave e immediato è nell’impossibilità di contattare il competente superiore gerarchico, prende misure per evitare le conseguenze di tale pericolo, non può subire pregiudizio per tale azione, a meno che non abbia commesso una grave negligenza.
          ART. 15 – Pronto soccorso
          1. Il datore di lavoro, tenendo conto della natura dell’attività e delle dimensioni dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, sentito il medico competente ove previsto, prende i provvedimenti necessari in materia di pronto soccorso e di assistenza medica di emergenza, tenendo conto delle altre eventuali persone presenti sui luoghi di lavoro e stabilendo i necessari rapporti con i servizi esterni, anche per il trasporto dei lavoratori infortunati.
          2. Il datore di lavoro, qualora non vi provveda direttamente, designa uno o più lavoratori incaricati dell’attuazione dei provvedimenti di cui al comma 1.
          3. Le caratteristiche minime delle attrezzature di pronto soccorso, i requisiti del personale addetto e la sua formazione sono individuati, in relazione alla natura dell’attività, al numero dei lavoratori occupati e ai fattori di rischio, con decreto dei Ministri della sanità, del lavoro e della previdenza sociale, della funzione pubblica e dell’industria, del commercio e dell’artigianato, sentita la commissione consultiva permanente e il Consiglio superiore di sanità.
          4. Fino all’emanazione del decreto di cui al comma 3 si applicano le disposizioni vigenti in materia.
          ART. 16 – Contenuto della sorveglianza sanitaria
          1. La sorveglianza sanitaria è effettuata nei casi previsti dalla normativa vigente.
          2. La sorveglianza di cui al comma 1 è effettuata dal medico competente e comprende:
          a) accertamenti preventivi intesi a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui i lavoratori sono destinati, ai fini della valutazione della loro idoneità alla mansione specifica;
          b) accertamenti periodici per controllare lo stato di salute dei lavoratori ed esprimere il giudizio di idoneità alla mansione specifica.
          3. Gli accertamenti di cui al comma 2 comprendono esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente.
          ART. 17 – Il medico competente
          1. Il medico competente:
          a) collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione di cui all’art. 8, sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione dell’azienda ovvero dell’unità produttiva e delle situazioni di rischio, alla predisposizione dell’attuazione delle misure per la tutela della salute e dell’integrità psico-fisica dei lavoratori;
          b) effettua gli accertamenti sanitari di cui all’art. 16;
          c) esprime i giudizi di idoneità alla mansione specifica al lavoro, di cui all’art. 16;
          d) istituisce ed aggiorna, sotto la propria responsabilità, per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria, una cartella sanitaria e di rischio da custodire presso il datore di lavoro con salvaguardia del segreto professionale;
          e) fornisce informazioni ai lavoratori sul significato degli accertamenti sanitari cui sono sottoposti e, nel caso di esposizione ad agenti con effetti a lungo termine, sulla necessità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività che comporta l’esposizione a tali agenti. Fornisce altresì, a richiesta, informazioni analoghe ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
          f) informa ogni lavoratore interessato dei risultati degli accertamenti sanitari di cui alla lettera b) e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria;
          g) comunica, in occasione delle riunioni di cui all’art. 11, ai rappresentanti per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi degli accertamenti clinici e strumentali effettuati e fornisce indicazioni sul significato di detti risultati;
          h) congiuntamente al responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi, visita gli ambienti di lavoro almeno due volte all’anno e partecipa alla programmazione del controllo dell’esposizione dei lavoratori i cui risultati gli sono forniti con tempestività ai fini delle valutazioni e dei pareri di competenza;
          i) fatti salvi i controlli sanitari di cui alla lettera b), effettua le visite mediche richieste dal lavoratore qualora tale richiesta sia correlata ai rischi professionali;
          l) collabora con il datore di lavoro alla predisposizione del servizio di pronto soccorso
          di cui all’art. 15;
          m) collabora all’attività di formazione e informazione di cui al capo VI.
          2. Il medico competente può avvalersi, per motivate ragioni, della collaborazione di medici specialisti scelti dal datore di lavoro che ne sopporta gli oneri.
          3. Qualora il medico competente, a seguito degli accertamenti di cui all’art. 16, comma 1, lettera b), esprima un giudizio sull’inidoneità parziale o temporanea o totale del lavoratore, ne informa per iscritto il datore di lavoro e il lavoratore.
          4. Avverso il giudizio di cui al comma 3 è ammesso ricorso, entro 30 giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma o la modifica o la revoca del giudizio stesso.
          5. Il medico competente svolge la propria opera in qualità di:
          a) dipendente da una struttura esterna pubblica o privata convenzionata con l’imprenditore per lo svolgimento dei compiti di cui al presente capo;
          b) libero professionista;
          c) dipendente del datore di lavoro.
          6. Qualora il medico competente sia dipendente del datore di lavoro, questi gli fornisce i mezzi e gli assicura le condizioni necessarie per lo svolgimento dei suoi compiti.
          7. Il dipendente di una struttura pubblica non può svolgere l’attività di medico competente ai sensi del comma 5, lettera a), qualora esplichi attività di vigilanza.
          ART. 18 – Rappresentante per la sicurezza
          1. In tutte le aziende, o unità produttive, è eletto o designato il rappresentante per la sicurezza.
          2. Nelle aziende, o unità produttive, che occupano sino a 15 dipendenti il rappresentante per la sicurezza è eletto direttamente dai lavoratori al loro interno. Nelle aziende che occupano fino a 15 dipendenti il rappresentante per la sicurezza può essere individuato per più aziende nell’ambito territoriale ovvero del comparto produttivo. Esso può essere designato o eletto dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali, così come definite dalla contrattazione collettiva di riferimento.
          3. Nelle aziende, ovvero unità produttive, con più di 15 dipendenti il rappresentate per la sicurezza è eletto o designato dai lavoratori nell’ambito delle rappresentanze sindacali in azienda. In assenza di tali rappresentanze, è eletto dai lavoratori dell’azienda al loro interno.
          4. Il numero, le modalità di designazione o di elezione del rappresentante per la sicurezza, nonché il tempo di lavoro retribuito e gli strumenti per l’espletamento delle funzioni sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva.
          5. In caso di mancato accordo nella contrattazione collettiva di cui al comma 4, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentite le parti, stabilisce con proprio decreto, da emanarsi entro tre mesi dalla comunicazione del mancato accordo, gli standard relativi alle materie di cui al comma 4. Per le amministrazioni pubbliche provvede il Ministro per la funzione pubblica sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale.
          6. In ogni caso il numero minimo dei rappresentanti di cui al comma 1 è il seguente:
          a) 1 rappresentante nelle aziende ovvero unità produttive sino a 200 dipendenti;
          b) 3 rappresentanti nelle aziende ovvero unità produttive da 201 a 1.000 dipendenti;
          c) sei rappresentanti in tutte le altre aziende ovvero unità produttive.
          7. Le modalità e i contenuti specifici della formazione del rappresentante per la sicurezza sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale di categoria con il rispetto dei contenuti minimi previsti dal decreto di cui all’art. 22, comma 7.
          ART. 19 – Attribuzioni del rappresentante per la sicurezza
          1. Il rappresentante per la sicurezza:
          a) accede ai luoghi di lavoro in cui si svolgono le lavorazioni;
          b) è consultato preventivamente e tempestivamente in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nell’azienda ovvero unità produttiva;
          c) è consultato sulla designazione degli addetti al servizio di prevenzione, all’attività di prevenzione incendi, al pronto soccorso, alla evacuazione dei lavoratori;
          d) è consultato in merito all’organizzazione della formazione di cui all’art. 22, comma 5;
          e) riceve le informazioni e la documentazione aziendale inerente la valutazione dei rischi e le misure di prevenzione relative, nonché quelle inerenti le sostanze e i preparati pericolosi, le macchine, gli impianti, l’organizzazione e gli ambienti di lavoro, gli infortuni e le malattie professionali;
          f) riceve le informazioni provenienti dai servizi di vigilanza;
          g) riceve una formazione adeguata, comunque non inferiore a quella prevista dall’art. 22;
          h) promuove l’elaborazione, individuazione e l’attuazione delle misure di prevenzione idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori;
          i) formula osservazioni in occasione di visite e verifiche effettuate dalle autorità competenti;
          l) partecipa alla riunione periodica di cui all’art. 11;
          m) fa proposte in merito all’attività di prevenzione;
          n) avverte il responsabile dell’azienda dei rischi individuati nel corso della sua attività;
          o) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro e i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro.
          2. Il rappresentante per la sicurezza deve disporre del tempo necessario allo svolgimento dell’incarico senza perdita di retribuzione, nonché dei mezzi necessari per l’esercizio delle funzioni e delle facoltà riconosciutegli.
          3. Le modalità per l’esercizio delle funzioni di cui al comma 1 sono stabilite in sede di contrattazione collettiva nazionale.
          4. Il rappresentante per la sicurezza non può subire pregiudizio alcuno a causa dello svolgimento della propria attività e nei suoi confronti si applicano le stesse tutele previste dalla legge per le rappresentanze sindacali.
          5. Il rappresentante per la sicurezza ha accesso, per l’espletamento della sua funzione, al documento di cui all’art. 4, commi 2 e 3, nonché al registro degli infortuni sul lavoro di cui all’art. 4, comma 5, lett. o).

          ART. 20 – Organismi paritetici
          1. A livello territoriale sono costituiti organismi paritetici tra le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, con funzioni di orientamento e di promozione di iniziative formative nei confronti dei lavoratori. Tali organismi sono inoltre prima istanza di riferimento in merito a controversie sorte sull’applicazione dei diritti di rappresentanza, informazione e formazione, previsti dalle norme vigenti.
          2. Sono fatti salvi, ai fini del comma 1, gli organismi bilaterali o partecipativi previsti da accordi interconfederali, di categoria, nazionali, territoriali o aziendali.
          3. Agli effetti dell’art. 10 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, gli organismi di cui al comma 1 sono parificati alla rappresentanza indicata nel medesimo articolo.

          ART. 21 – Informazione dei lavoratori
          1. Il datore di lavoro provvede affinché ciascun lavoratore riceva un’adeguata informazione su:
          a) i rischi per la sicurezza e la salute connessi all’attività dell’impresa in generale;
          b) le misure e le attività di protezione e prevenzione adottate;
          c) i rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia;
          d) i pericoli connessi all’uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona tecnica;
          e) le procedure che riguardano il pronto soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione dei lavoratori;
          f) il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente;
          g) i nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di cui agli articoli 12 e 15.
          2. Il datore di lavoro fornisce le informazioni di cui al comma 1, lettere a), b), c), anche ai lavoratori di cui all’art. 1, comma 3.

          ART. 22 – Formazione dei lavoratori
          1. Il datore di lavoro, i dirigenti e i preposti, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, assicurano che ciascun lavoratore, ivi compresi i lavoratori di cui all’art. 1, comma 3, ricevano una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni.
          2. La formazione deve avvenire in occasione:
          a) dell’assunzione;
          b) del trasferimento o cambiamento di mansioni;
          c) dell’introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi.
          3. La formazione deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi ovvero all’insorgenza di nuovi rischi.
          4. Il rappresentante per la sicurezza ha diritto a una formazione particolare in materia di salute e sicurezza, concernente la normativa in materia di sicurezza e salute e i rischi specifici esistenti nel proprio ambito di rappresentanza, tale da assicurargli adeguate nozioni sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi.
          5. Il lavoratore incaricato dell’attività di pronto soccorso, di lotta antincendio e di evacuazione dei lavoratori deve essere adeguatamente formato.
          6. La formazione dei lavoratori e quella dei loro rappresentanti di cui al comma 4 deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici di cui all’art. 20, durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori.
          7. I Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità, sentita la commissione consultiva permanente, possono stabilire i contenuti minimi della formazione dei lavoratori, dei rappresentanti per la sicurezza e dei datori di lavoro di cui all’art. 10, comma 3, tenendo anche conto delle dimensioni e della tipologia delle imprese.

          ART. 23 – Vigilanza
          1. La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro è svolta dalla unità sanitaria locale e, per quanto di specifica competenza, dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché, per il settore minerario, dal Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato.
          2. Per attività lavorative comportanti rischi particolarmente elevati, da individuare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità, sentita la commissione consultiva permanente, l’attività di vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di sicurezza può essere esercitata anche dall’ispettorato del lavoro che ne informa preventivamente il servizio di prevenzione e sicurezza della unità sanitaria locale competente per territorio.
          3. Il decreto di cui al comma 2 deve essere emanato entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

          ART. 24 – Informazione, consulenza, assistenza
          1. Le regioni, il Ministero dell’interno tramite le strutture del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, l’ISPESL, anche mediante i propri dipartimenti periferici, il ministero del lavoro e della previdenza sociale, per mezzo degli ispettorati del lavoro, il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato, per il settore estrattivo, tramite gli uffici della Direzione generale delle miniere, l’Istituto italiano di medicina sociale e gli enti di patronato, svolgono attività di informazione, consulenza e assistenza in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, in particolare nei confronti delle imprese artigiane e delle piccole e medie imprese e delle rispettive associazioni dei datori di lavoro.
          2. L’attività di consulenza non può essere prestata dai soggetti che svolgono attività di controllo e di vigilanza.
          ART. 25 – Coordinamento
          1. Con atto di indirizzo e coordinamento, da emanarsi, su proposta dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono individuati criteri al fine di assicurare unità e omogeneità di comportamenti in tutto il territorio nazionale nell’applicazione delle disposizioni in materia di sicurezza e salute dei lavoratori.
          ART 26 – Commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e l’igiene del lavoro
          1. L’art. 393 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, è sostituito dal seguente: “Art. 393 (Costituzione della commissione):
          1. Presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale è istituita una commissione consultiva permanente per la prevenzione degli infortuni e per l’igiene del lavoro. Essa è presieduta dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale o dal direttore generale della Direzione generale dei rapporti di lavoro da lui delegato, ed è così composta da:
          a) cinque funzionari esperti designati dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di cui tre ispettori del lavoro, laureati 1 in ingegneria, 1 in medicina e chirurgia e 1 in chimica o fisica;
          b) il direttore e tre funzionari dell’Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza del lavoro;
          c) un funzionario dell’Istituto superiore di sanità;
          d) un funzionario per ciascuno dei seguenti Ministeri: sanità; industria, commercio ed artigianato; interno; funzione pubblica; trasporti; risorse agricole, alimentari e forestali; ambiente;
          e) sei rappresentanti delle regioni e province autonome designati dalla conferenza Stato-Regioni.
          f) un rappresentante dei seguenti organismi:
          -Istituto nazionale assicurazioni e infortuni sul lavoro;
          -Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
          -Consiglio nazionale ricerche;
          -UNI;
          -CEI;
          -Agenzia nazionale protezione ambiente;
          g) quattro esperti nominati dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale su designazione delle organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello nazionale;
          h) quattro esperti nominati dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale su designazione delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro maggiormente rappresentative a livello nazionale;
          i) un esperto nominato dal Ministro del lavoro e della previdenza sociale su designazione delle organizzazioni sindacali dei dirigenti d’azienda maggiormente rappresentative a livello nazionale.
          2. Per ogni rappresentante effettivo è designato un membro supplente.
          3. All’inizio di ogni mandato la commissione può istituire comitati speciali permanenti dei quali determina la composizione e la funzione.
          4. La commissione può chiamare a far parte dei comitati di cui al comma 3 persone particolarmente esperte, anche su designazione delle associazioni professionali, dell’università e degli enti di ricerca, in relazione alle materie trattate.
          5. Le funzioni inerenti alla segreteria della commissione sono disimpegnate da due funzionari del Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
          6. I componenti della commissione consultiva permanente e i segretari sono nominati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale su designazione degli organismi competenti durano in carica tre anni.”.
          2. L’art. 394 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, è sostituito dal seguente: “Art. 394 (compiti della commissione):
          1. La commissione consultiva permanente ha il compito di:
          a) esaminare i problemi applicativi della normativa in materia di sicurezza e salute sul posto di lavoro e predisporre una relazione annuale al riguardo;
          b) formulare proposte per lo sviluppo e il perfezionamento della legislazione vigente e per il suo coordinamento con altre disposizioni concernenti la sicurezza e la protezione della salute dei lavoratori nonché per il coordinamento degli organi preposti alla vigilanza;
          c) esaminare le problematiche evidenziate dai comitati regionali sulle misure preventive e di controllo dei rischi adottate nei luoghi di lavoro;
          d) proporre linee guida applicative della
          normativa di sicurezza;
          e) esprimere parere sugli adeguamenti di natura strettamente tecnica relativi alla normativa CEE da attuare a livello nazionale;
          f) esprimere parere sulle richieste di deroga previste dall’art. 48 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277;
          g) esprimere parere sulle richieste di deroga previste dall’art. 8 del decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 77;
          h) esprimere parere sul riconoscimento di conformità alle prescrizioni per la sicurezza e la salute dei lavoratori di norme tecniche;
          i) esprimere il parere sui ricorsi avverso le disposizioni impartite dagli ispettori del lavoro nell’esercizio della vigilanza, sulle attività comportanti rischi particolarmente elevati, individuate ai sensi dell’art. 43, comma 1, lettera g), n. 4, della legge 19 febbraio 1991, n. 142, secondo le modalità di cui all’art. 402;
          l) esprimere parere, su richiesta del Ministero del lavoro e della previdenza sociale o del Ministero della sanità o delle regioni, su qualsiasi questione relativa alla sicurezza del lavoro e alla protezione della salute dei lavoratori.
          2. La relazione di cui al comma precedente, lettera a), è resa pubblica ed è trasmessa alle commissioni parlamentari competenti ed ai presidenti delle regioni. La commissione, per l’espletamento dei suoi compiti, può chiedere dati o promuovere indagini e, su richiesta o autorizzazione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, effettuare sopralluoghi.”.
          3. L’art. 395 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, è soppresso.

          ART 27 – Comitati regionali di coordinamento
          1. Con atto di indirizzo e coordinamento, da emanarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sentita la Conferenza Stato-regioni, su proposta dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sono individuati criteri generali relativi all’individuazione di organi operanti nella materia della sicurezza e della salute sul luogo di lavoro al fine di realizzare uniformità di interventi e il necessario raccordo con la commissione consultiva permanente .
          2. Alle riunioni della Conferenza Stato-regioni, convocate per i pareri di cui al comma 1 partecipano i rappresentanti dell’ANCI, dell’UPI e dell’UNICEM.

          ART. 28 – Adeguamenti al progresso tecnico
          1. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità e dell’industria, del commercio e dell’artigianato, sentita la commissione consultiva permanente:
          a) è riconosciuta la conformità alle vigenti norme per la sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro di mezzi e sistemi di sicurezza in attività lavorative comportanti rischi elevati e di nuove tecnologie;
          b) si dà attuazione alle direttive in materia di sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di lavoro della Comunità europea per le parti in cui modificano modalità esecutive e caratteristiche di ordine tecnico di altre direttive già recepite nell’ordinamento nazionale;
          c) si provvede all’adeguamento della normativa di natura strettamente tecnica e degli allegati al presente decreto in relazione al progresso tecnologico.

          ART. 29 – Statistiche degli infortuni e delle malattie professionali
          1. L’INAIL e l’ISPESL si forniscono reciprocamente i dati relativi agli infortuni ed alle malattie professionali anche con strumenti telematici .
          2. L’ISPESL e l’INAIL indicono una conferenza permanente di servizio per assicurare il necessario coordinamento in relazione a quanto previsto dall’art. 8, comma 3, del decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517, nonché per verificare l’adeguatezza dei sistemi di prevenzione e assicurativi, e di studiare e proporre soluzioni normative e tecniche atte a ridurre il fenomeno degli infortuni e delle malattie professionali.
          3. I criteri per la raccolta ed elaborazione delle informazioni relative ai rischi e ai danni derivanti da infortunio durante l’attività lavorativa sono individuati nelle norme UNI, riguardanti i parametri per la classificazione dei casi di infortunio, ed i criteri per il calcolo degli indici di frequenza e gravità e loro successivi aggiornamenti.
          4. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale e del Ministro della sanità, sentita la commissione consultiva permanente, possono essere individuati i criteri integrativi di quelli di cui al comma 3 in relazione a particolari rischi.
          5. I criteri per la raccolta e l’elaborazione delle informazioni relative ai rischi e ai danni derivanti dalle malattie professionali, nonché ad altre malattie e forme patologiche e ziologicamente collegate al lavoro, sono individuati con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale e del Ministro della sanità, sentita la commissione consultiva permanente, sulla base delle norme di buona tecnica.

          ART. 30 – Definizioni
          1. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al presente titolo si intendono per luoghi di lavoro:
          a) i luoghi destinati a contenere posti di lavoro, ubicati all’interno dell’azienda ovvero dell’unità produttiva, nonché ogni altro luogo nell’area della medesima azienda ovvero unità produttiva comunque accessibile per il lavoro.
          2. Le disposizioni del presente titolo non si applicano:
          a) ai mezzi di trasporto;
          b) ai cantieri temporanei o mobili;
          c) alle industrie estrattive;
          d) ai pescherecci;
          e) ai campi, boschi e altri terreni facenti parte di una impresa agricola o forestale, ma situati fuori dall’area edificata dell’azienda.
          3. Ferme restando le disposizioni di legge vigenti, le prescrizioni di sicurezza e di salute per i luoghi di lavoro sono specificate nell’allegato II.
          4. I luoghi di lavoro devono essere strutturati tenendo conto, se del caso, di eventuali lavoratori portatori di handicap.
          5. L’obbligo di cui al comma 4 vige, in particolare, per le porte, le vie di circolazione, le scale, le docce, i gabinetti e i posti di lavori utilizzati od occupati direttamente da lavoratori portatori di handicap.
          6. La disposizione di cui al comma 4 non si applica ai luoghi di lavoro già utilizzati prima del 1º gennaio 1993, ma debbono essere adottate misure idonee a consentire la mobilità e l’utilizzazione dei servizi sanitari e di igiene personale.

          ART. 31 – Requisiti di sicurezza e di salute
          1. Fermo restando le disposizioni legislative e regolamentari vigenti i luoghi di lavoro costruiti o utilizzati anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto devono essere adeguati alle prescrizioni di sicurezza e salute di cui al presente titolo entro il 1º gennaio 1996.

          ART. 32 – Obblighi del datore di lavoro
          1. Il datore di lavoro provvede affinché:
          a) le vie di circolazione interne o all’aperto che conducono a uscite o ad uscite di emergenza e le uscite di emergenza siano sgombre allo scopo di consentirne l’utilizzazione in ogni evenienza;
          b) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare manutenzione tecnica e vengano eliminati, quanto più rapidamente possibile, i difetti rilevati che possano pregiudicare la sicurezza e la salute dei lavoratori;
          c) i luoghi di lavoro, gli impianti e i dispositivi vengano sottoposti a regolare pulitura, onde assicurare condizioni igieniche adeguate;
          d) gli impianti e i dispositivi di sicurezza, destinati alla prevenzione o all’eliminazione dei pericoli, vengano sottoposti a regolare manutenzione e al controllo del loro funzionamento.

          ART. 33 – Adeguamenti di norme
          1. L’art. 13 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, è sostituito dal seguente: “Art. 13 (Vie e uscite di emergenza).
          1. Ai fini del presente decreto si intende per:
          a) via di emergenza: percorso senza ostacoli al deflusso che consente alle persone che occupano un edificio o un locale di raggiungere un luogo sicuro;
          b) uscita di emergenza: passaggio che immette in un luogo sicuro;
          c) luogo sicuro: luogo nel quale le persone sono da considerarsi al sicuro dagli effetti determinati dall’incendio o altre situazioni di emergenza.
          2. Le vie e le uscite di emergenza devono rimanere sgombre e consentire di raggiungere il più rapidamente possibile un luogo sicuro.
          3. In caso di pericolo tutti i posti di lavoro devono poter essere evacuati rapidamente e in piena sicurezza da parte dei lavoratori.
          4. Il numero, la distribuzione e le dimensioni delle vie e delle uscite di emergenza devono essere adeguate alle dimensioni dei luoghi di lavoro, alla loro ubicazione, alla loro destinazione d’uso, alle attrezzature in essi installate, nonché al numero massimo di persone che possono essere presenti in detti luoghi.
          5. Le vie e le uscite di emergenza devono avere altezza minima di m 2,0 e larghezza minima conforme alla normativa vigente in materia antincendio.
          6. Qualora le uscite di emergenza siano dotate di porte, queste devono essere apribili nel verso dell’esodo e, qualora siano chiuse devono poter essere aperte facilmente e immediatamente da parte di qualsiasi persona che abbia bisogno di utilizzarle in caso di emergenza.
          7. Le porte delle uscite di emergenza non devono essere chiuse a chiave, se non in casi specificamente autorizzati dall’autorità competente.
          8. Nei locali di lavoro e in quelli destinati a deposito è vietato adibire, quali porte delle uscite di emergenza, le saracinesche a rullo, le porte scorrevoli verticalmente e quelle girevoli su asse centrale.
          9. Le vie e le uscite di emergenza nonché le vie di circolazione e le porte che vi danno accesso non devono essere ostruite da oggetti in modo da poter essere utilizzate in ogni momento senza impedimenti.
          10. Le vie e le uscite di emergenza devono essere evidenziate da apposita segnaletica, conforme alle disposizioni vigenti, durevole e collocata in luoghi appropriati.
          11. Le vie e le uscite di emergenza che richiedono un’illuminazione devono essere dotate di un’illuminazione di sicurezza di intensità sufficiente, che entri in funzione in caso di guasto dell’impianto elettrico.
          12. Gli edifici che siano costruiti o adattati interamente per lavorazioni che comportano un numero di lavoratori superiore a 25, e in ogni caso quando le lavorazioni e i materiali ivi utilizzati presentino pericoli di esplosione o di incendio e siano adibiti nello stesso locale più di 5 lavoratori, devono avere almeno due scale distinte di facile accesso.Per gli edifici già costruiti si dovrà provvedere in conformità, quando non ne esista l’impossibilità accertata dall’organo di vigilanza: in quest’ultimo caso sono disposte le misure e cautele ritenute più efficienti.
          13. Per i luoghi di lavoro già utilizzati prima del 1º gennaio 1993 non si applica la disposizione contenuta nel comma 4, ma gli stessi debbono avere un numero sufficiente di vie e uscite di emergenza.”.

          2. L’art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica del 27 aprile 1955, n. 547, è sostituito dal seguente: “Art. 14 (Porte e portoni).
          1. Le porte dei locali di lavoro devono, per numero, dimensioni, posizione, e materiali di realizzazione consentire una rapida uscita delle persone ed essere agevolmente apribili dall’interno durante il lavoro.
          2. Quando in un locale le lavorazioni e i materiali comportino rischi di esplosione e di incendio e siano adibiti alle attività che si svolgono nel locale stesso più di 5 lavoratori, almeno una porta ogni 5 lavoratori deve essere apribile nel verso dell’esodo ed avere larghezza minima di m 1,20.
          3. Quando in un locale si svolgono lavorazioni diverse da quelle previste al comma 2, la larghezza minima delle porte è la seguente:
          a) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano fino a 25, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 0,90;
          b) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero compreso tra 26 e 50, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20 che si apra nel verso dell’esodo;
          c) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero compreso tra 51 e 100, il locale deve essere dotato di una porta avente larghezza minima di m 1,20 e di una porta avente larghezza minima di m 0,90, che si aprano entrambe nel verso dell’esodo;
          d) quando in uno stesso locale i lavoratori normalmente ivi occupati siano in numero superiore a 100, in aggiunta alle porte previste alla lettera c) il locale deve essere dotato di almeno 1 porta che si apra nel verso dell’esodo avente larghezza minima di m 1,20 per ogni 50 lavoratori normalmente ivi occupati o frazione compresa tra 10 e 50, calcolati limitatamente all’eccedenza rispetto a 100.
          4. Il numero complessivo delle porte di cui al comma 3 può anche essere minore, purché la loro larghezza complessiva non risulti inferiore.
          5. Alle porte per le quali è prevista una larghezza minima di m 1,20 è applicabile una tolleranza in meno del 5% (cinque per cento).
          6. Quando in un locale di lavoro le uscite di emergenza di cui all’art. 13, comma 5, coincidono con le porte di cui al comma 1, si applicano le disposizioni di cui all’art. 13, comma 5.
          7. Nei locali di lavoro ed in quelli adibiti a magazzino non sono ammesse le porte scorrevoli, le saracinesche a rullo, le porte girevoli su asse centrale, quando non esistano altre porte apribili verso l’esterno del locale.
          8. Immediatamente accanto ai portoni destinati essenzialmente alla circolazione dei veicoli devono esistere, a meno che il passaggio dei pedoni sia sicuro, porte per la circolazione dei pedoni che devono essere segnalate in modo visibile ed essere sgombre in permanenza.
          9. Le porte e i portoni apribili nei due versi devono essere trasparenti o essere muniti di pannelli trasparenti.
          10. Sulle porte trasparenti deve essere apposto un segno indicativo all’altezza degli occhi.
          11. Se le superfici trasparenti o traslucide delle porte e dei portoni non sono costituite da materiali di sicurezza e c’è il rischio che i lavoratori possano rimanere feriti in caso di rottura di dette superfici, queste devono essere protette contro lo sfondamento.
          12. Le porte scorrevoli devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di uscire dalle guide o di cadere.
          13. Le porte e i portoni che si aprono verso l’alto devono disporre di un sistema di sicurezza che impedisca loro di ricadere.
          14. Le porte e i portoni ad azionamento meccanico devono funzionare senza rischi di infortuni per i lavoratori. Essi devono essere muniti di dispositivi di arresto di emergenza facilmente identificabili e accessibili e poter essere aperti anche manualmente, salvo che la loro apertura possa avvenire automaticamente in caso di mancanza di energia elettrica.
          15. Le porte situate sul percorso delle vie di emergenza devono essere contrassegnate in maniera appropriata con segnaletica durevole conformemente alla normativa vigente. Esse devono poter essere aperte, in ogni momento, dall’interno senza aiuto speciale.
          16. Quando i luoghi di lavoro sono occupati le porte devono poter essere aperte.
          17. Per i luoghi di lavoro già utilizzati prima del 1º gennaio 1993 non si applicano le disposizioni dei commi precedenti. I locali di lavoro e quelli adibiti a deposito devono essere provvisti di porte di uscita che abbiano la larghezza di almeno m 1,10 e che siano in numero non inferiore ad una per ogni 50 lavoratori normalmente ivi occupati o frazione compresa tra 10 e 50. Il numero delle porte può anche essere minore, purché la loro larghezza complessiva non risulti inferiore.”.

          3. L’art. 8 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, è sostituito dal seguente: “Art. 8 (Vie di circolazione, zone di pericolo, pavimenti e passaggi).
          1. Le vie di circolazione, comprese scale, scale fisse e banchine e rampe di carico, devono essere situate e calcolate in modo tale che i pedoni o i veicoli possano utilizzarle facilmente in piena sicurezza e conformemente alla loro destinazione e che i lavoratori operanti nelle vicinanze di queste vie di circolazione non corrano alcun rischio.
          2. Il calcolo delle dimensioni delle vie di circolazione per persone ovvero merci dovrà basarsi sul numero potenziale degli utenti e sul tipo di impresa.
          3. Qualora sulle vie di circolazione siano utilizzati mezzi di trasporto, dovrà essere prevista per i pedoni una distanza di sicurezza sufficiente.
          4. Le vie di circolazione destinate ai veicoli devono passare a una distanza sufficiente da porte, portoni, passaggi per pedoni, corridoi e scale.
          5. Nella misura in cui l’uso e l’attrezzatura dei locali lo esigano per garantire la protezione dei lavoratori, il tracciato delle vie di circolazione deve essere evidenziato.
          6. Se i luoghi di lavoro comportano zone di pericolo in funzione della natura del lavoro e presentano rischi di cadute dei lavoratori o rischi di cadute d’oggetti, tali luoghi devono essere dotati di dispositivi per impedire che i lavoratori non autorizzati possano accedere a dette zone.
          7. Devono essere prese misure appropriate per proteggere i lavoratori autorizzati ad accedere alle zone di pericolo.
          8. Le zone di pericolo devono essere segnalate in modo chiaramente visibile.
          9. I pavimenti degli ambienti di lavoro e dei luoghi destinati al passaggio non devono presentare buche o sporgenze pericolose e devono essere in condizioni tali da rendere sicuro il movimento e il transito delle persone e dei mezzi di trasporto.
          10. I pavimenti e i passaggi non devono essere ingombrati da materiali che ostacolino la normale circolazione.
          11. Quando per evidenti ragioni tecniche non si possono completamente eliminare dalle zone di transito ostacoli fissi o mobili che costituiscono un pericolo per i lavoratori o i veicoli che tali zone devono percorrere, gli ostacoli devono essere adeguatamente segnalati.”.
          4. L’intestazione del titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, è sostituita dalla seguente: “Titolo II – Disposizioni particolari”
          5. Nell’art. 6, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, dopo le parole “da destinarsi al lavoro nelle aziende” è soppressa la parola “industriali”.
          6. L’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, è sostituito dal seguente: “Art. 9 (Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi).
          1. Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente.
          2. Se viene utilizzato un impianto di aerazione, esso deve essere sempre mantenuto funzionante. Ogni eventuale guasto deve essere segnalato da un sistema di controllo, quando ciò è necessario per salvaguardare la salute dei lavoratori.
          3. Se sono utilizzati impianti di condizionamento dell’aria o di ventilazione meccanica, essi devono funzionare in modo che i lavoratori non siano esposti a correnti d’aria fastidiosa.
          4. Qualsiasi sedimento o sporcizia che potrebbe comportare un pericolo immediato per la salute dei lavoratori dovuto all’inquinamento dell’aria respirata deve essere eliminato rapidamente.”.
          7. L’art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, è sostituito dal seguente: “Art. 11 (Temperatura dei locali).
          1. La temperatura nei locali di lavoro deve essere adeguata all’organismo umano durante il tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori.
          2. Nel giudizio sulla temperatura adeguata per i lavoratori si deve tener conto dell’influenza che possono esercitare sopra di essa il grado di umidità e il movimento dell’aria concomitanti.
          3. La temperatura dei locali di riposo, dei locali per il personale di sorveglianza, dei servizi igienici, delle mense e dei locali di pronto soccorso deve essere conforme alla destinazione specifica di questi locali.
          4. Le finestre, i lucernari e le pareti vetrate devono essere tali da evitare un soleggiamento eccessivo dei luoghi di lavoro, tenendo conto del tipo di attività e della natura del luogo di lavoro.
          5. Quando non sia convenienti modificare la temperatura di tutto l’ambiente, si deve provvedere alla difesa dei lavoratori contro le temperature troppo alte o troppo basse mediante misure tecniche localizzate o mezzi personali di protezione.”.
          8. L’art. 10 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, è sostituito dal seguente: “Art. 10 (Illuminazione naturale e artificiale dei luoghi di lavoro).
          1. I luoghi di lavoro devono disporre di sufficiente luce naturale ed essere dotati di dispositivi che consentano un’illuminazione artificiale adeguata per salvaguardare la sicurezza, la salute e il benessere dei lavoratori.
          2. Gli impianti di illuminazione dei locali di lavoro e delle vie di circolazione devono essere installati in modo che il tipo d’illuminazione previsto non rappresenta un rischio di infortunio per i lavoratori.
          3. I luoghi di lavoro nei quali i lavoratori sono particolarmente esposti a rischi in caso di guasto dell’illuminazione artificiale, devono disporre di un’illuminazione di sicurezza di sufficiente intensità.
          4. Le superfici vetrate illuminanti ed i mezzi di illuminazione artificiale devono essere tenuti costantemente in buone condizioni di pulizia e di efficienza.”.
          9. L’art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, è sostituito dal seguente: “Art. 7 (Pavimenti, muri, soffitti, finestre e lucernari dei locali scale e marciapiedi mobili, banchina e rampe di carico).
          1. A meno che non sia richiesto diversamente dalle necessità della lavorazione, è vietato adibire a lavori continuativi i locali chiusi i che non rispondano alle seguenti condizioni:
          a) essere ben difesi contro gli agenti atmosferici, e provvisti di un isolamento termico sufficiente, tenuto conto del tipo di impresa e dell’attività fisica dei lavoratori;
          b) avere aperture sufficienti per un rapido ricambio d’aria;
          c) essere ben asciutti e ben difesi contro l’umidità;
          d) avere le superfici dei pavimenti, delle pareti, dei soffitti tali da poter essere pulite e deterse per ottenere condizioni adeguate di igiene.
          2. I pavimenti dei locali devono essere esenti da protuberanze, cavità o piani inclinati pericolosi, devono essere fissi, stabili e antisdrucciolevoli.
          3. Nelle parti dei locali dove abitualmente si versano sul pavimento sostanze putrescibili o liquidi, il pavimento deve avere superficie unita e impermeabile e pendenza sufficiente per avviare rapidamente i liquidi verso i punti di raccolta e scarico.
          4. Quando il pavimento dei posti di lavoro e di quelli di passaggio si mantenga bagnato, esso deve essere munito in permanenza di palchetti o di graticolato, se i lavoratori non sono forniti di idonee calzature impermeabili.
          5. Qualora non ostino particolari condizioni tecniche, le pareti dei locali di lavoro devono essere a tinta chiara.
          6. Le pareti trasparenti o traslucide, in particolare le pareti completamente vetrate, nei locali o nelle vicinanze dei posti di lavoro e delle vie di circolazione, devono essere chiaramente segnalate e costituite da materiali di sicurezza ovvero essere separate dai posti di lavoro e dalle vie di circolazione succitati, in modo tale che i lavoratori non possano entrare in contatto con le pareti, né essere feriti qualora esse vadano in frantumi.
          7. Le finestre, i lucernari e i dispositivi di ventilazione devono poter essere aperti, chiusi, regolati e fissati dai lavoratori in tutta sicurezza. Quando sono aperti essi devono essere posizionati in modo da non costituire un pericolo per i lavoratori.
          8. Le finestre e i lucernari devono essere concepiti congiuntamente con l’attrezzatura o dotati di dispositivi che consentano la loro pulitura senza rischi per i lavoratori che effettuano tale lavoro nonché per i lavoratori presenti nell’edificio e intorno a esso.
          9. L’accesso ai tetti costituiti da materiali non sufficientemente resistenti può essere autorizzato soltanto se sono fornite attrezzature che permettano di eseguire il lavoro in tutta sicurezza.
          10. Le scale ed i marciapiedi mobili devono funzionare in piena sicurezza, devono essere muniti dei necessari dispositivi di sicurezza e devono possedere dispositivi di arresto di emergenza facilmente identificabili e accessibili.
          11. Le banchine e rampe di carico devono essere adeguate alle dimensioni dei carichi trasportati.
          12. Le banchine di carico devono disporre di almeno un’uscita. Ove sia tecnicamente possibile, le banchine di carico che superano m 25,0 di lunghezza devono disporre di un’uscita a ciascuna estremità.
          13. Le rampe di carico devono offrire una sicurezza tale da evitare che i lavoratori possano cadere.”.
          10. L’art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, è sostituito dal seguente: “Art. 14 (Locali di riposo).
          1. Quando la sicurezza e la salute dei lavoratori, segnatamente a causa del tipo di attività, lo richiedono, i lavoratori devono poter disporre di un locale di riposo facilmente accessibile.
          2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica quando il personale lavora in uffici o in analoghi locali di lavoro che offrano equivalenti possibilità di riposo durante la pausa.
          3. I locali di riposo devono avere dimensioni sufficienti ed essere dotati di un numero di tavoli e sedili con schienale in funzione del numero dei lavoratori.
          4. Nei locali di riposo si devono adottare misure adeguate per la protezione dei non fumatori contro gli inconvenienti del fumo.
          5. Quando il tempo di lavoro è interrotto regolarmente e frequentemente e non esistono locali di riposo, devono essere messi a disposizione del personale altri locali affinché questi possa soggiornarvi durante l’interruzione del lavoro nel caso in cui la sicurezza o la salute dei lavoratori lo esiga. In detti locali è opportuno prevedere misure adeguate per la protezione dei non fumatori contro gli inconvenienti del fumo.
          6. L’organo di vigilanza può prescrivere che, anche nei lavori continuativi, il datore di lavoro dia modo ai dipendenti di lavorare stando a sedere ogni qualvolta ciò non pregiudichi la normale esecuzione di lavoro.
          7. Le donne incinte e le madri che allattano devono avere la possibilità di riposarsi in posizione distesa e in condizioni appropriate.”.
          11. L’art. 40 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, è sostituito dal seguente: “Art. 40 (Spogliatoi e armadi per il vestiario).
          1. Locali appositamente destinati a spogliatoi devono essere messi a disposizione dei lavoratori quando questi devono indossare indumenti di lavoro specifici e quando per ragioni di salute o di decenza non si possa loro chiedere di cambiarsi in altri locali.
          2. Gli spogliatoi devono essere distinti fra i due sessi e convenientemente arredati.
          3. I locali destinati a spogliatoio devono avere una capacità sufficiente, essere possibilmente vicini ai locali di lavoro aerati, illuminati, ben difesi dalle intemperie, riscaldati durante la stagione fredda e muniti di sedili.
          4. Gli spogliatoi devono essere dotati di attrezzature che consentano a ciascun lavoratore di chiudere a chiave i propri indumenti durante il tempo di lavoro.
          5. Qualora i lavoratori svolgano attività insudicianti, polverose, con sviluppo di fumi o vapori contenenti in sospensione sostanze untuose o incrostanti, nonché in quelle dove si usano sostanze venefiche, corrosive o infettanti o comunque pericolose, gli armadi per gli indumenti da lavoro devono essere separati da quelli per gli indumenti privati.
          6. Qualora non si applichi il comma 1 ciascun lavoratore deve poter disporre delle attrezzature di cui al comma 4 per poter riporre i propri indumenti.”.
          12. Gli articoli 37 e 39 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303 sono sostituiti dai seguenti: “Art. 37 (Docce e lavabi).
          1. Docce sufficienti e appropriate devono essere messe a disposizione dei lavoratori quando il tipo di attività o la salubrità lo esigano.
          2. Devono essere previsti locali per le docce separati per uomini e donne o un’utilizzazione separata degli stessi. Le docce o i lavabi o gli spogliatoi devono comunque facilmente comunicare tra loro.
          3. I locali delle docce devono avere dimensioni sufficienti per permettere a ciascun lavoratore di rivestirsi senza impacci e in condizioni appropriate di igiene.
          4. Le docce devono essere dotate di acqua corrente calda e fredda e di mezzi detergenti e per asciugarsi.
          5. Devono essere previsti lavabi separati per uomini e donne ovvero un’utilizzazione separata dei lavabi, qualora ciò sia necessario per motivi di decenza.
          Art. 39 – (Gabinetti e lavabi).
          1. I lavoratori devono disporre, in prossimità dei loro posti di lavoro, dei locali di riposo, degli spogliatoi, delle docce o lavabi, di locali speciali dotati di un numero sufficiente di gabinetti e di lavabi, per acqua corrente calda, se necessario, e dotati di mezzi detergenti e per asciugarsi.
          2. Per uomini e donne devono essere previsti gabinetti separati.”.
          13. L’art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, è sostituito dal seguente: “Art. 11 (Posti di lavoro e di passaggio e luoghi di lavoro esterni).
          1. I posti di lavoro e di passaggio devono essere idoneamente difesi contro la caduta o l’investimento di materiali in dipendenza dell’attività lavorativa.
          2. Ove non sia possibile la difesa con mezzi tecnici, devono essere adottate altre misure o cautele adeguate.
          3. I posti di lavoro, le vie di circolazione e altri luoghi o impianti all’aperto utilizzati od occupati dai lavoratori durante le loro attività devono essere concepiti in modo tale che la circolazione dei pedoni e dei veicoli possa avvenire in modo sicuro.
          4. Le disposizioni di cui all’art. 7 e le disposizioni sulle vie di circolazione e zone di pericolo sono altresì applicabili alle vie di circolazione principali sul terreno dell’impresa, alle vie di circolazione che portano a posti di lavoro fissi, alle vie di circolazione utilizzate per la regolare manutenzione e sorveglianza degli impianti dell’impresa, nonché alle banchine di carico.
          5. Le disposizioni sulle vie di circolazione e zone di pericolo si applicano per analogia ai luoghi di lavoro esterni.
          6. I luoghi di lavoro all’aperto devono essere opportunamente illuminati con luce artificiale quando la luce del giorno non è sufficiente.
          7. Quando i lavoratori occupano posti di lavoro all’aperto, questi devono essere strutturati, per quanto tecnicamente possibile, in modo tale che i lavoratori:
          a) sono protetti contro gli agenti atmosferici e, se necessario, contro la caduta di oggetti;
          b) non sono esposti a livelli sonori nocivi o ad agenti esterni nocivi, quali gas, vapori, polveri;
          c) possono abbandonare rapidamente il posto di lavoro in caso di pericolo o possono essere soccorsi rapidamente;
          d) non possono scivolare o cadere.”.
          14. Le disposizioni di cui al presente articolo entrano in vigore tre mesi dopo la pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

          ART. 34 – Definizioni
          1. Agli effetti delle disposizioni di cui al presente titolo si intendono per:
          a) attrezzatura di lavoro: qualsiasi macchina, apparecchio, utensile o impianto destinato a essere usato durante il lavoro;
          b) uso di un’attrezzatura di lavoro: qualsiasi operazione lavorativa connessa ad un’attrezzatura di lavoro, quale la messa in servizio o fuori servizio, l’impiego, il trasporto, la riparazione, la trasformazione, la manutenzione, la pulizia, lo smontaggio;
          c) zona pericolosa: qualsiasi zona all’interno ovvero in prossimità di un’attrezzatura di lavoro nella quale la presenza di un lavoratore costituisce un rischio per la salute o la sicurezza dello stesso.

          ART. 35 – Obblighi del datore di lavoro
          1. Il datore di lavoro mette a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere ovvero adattate a tali scopi ed idonee ai fini della sicurezza e della salute.
          2. Il datore di lavoro attua le misure tecniche ed organizzative adeguate per ridurre al minimo i rischi connessi all’uso delle attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori e per impedire che dette attrezzature possano essere utilizzate per operazioni e secondo condizioni per le quali non sono adatte.
          3. All’atto della scelta delle attrezzature di lavoro il datore di lavoro prende in considerazione:
          a) le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro da svolgere;
          b) i rischi presenti nell’ambiente di lavoro;
          c) i rischi derivanti dall’impiego delle attrezzature stesse.
          4. Il datore di lavoro prende le misure necessarie affinché le attrezzature di lavoro siano:
          a) installate in conformità alle istruzioni del fabbricante;
          b) utilizzate correttamente;
          c) oggetto di idonea manutenzione al fine di garantire nel tempo la rispondenza ai requisiti di cui all’art. 36 e siano corredate, ove necessario, da apposite istruzioni d’uso.
          5. Qualora le attrezzature richiedano per il loro impiego conoscenze o responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici, il datore di lavoro si assicura che:
          a) l’uso dell’attrezzatura di lavoro sia riservato a lavoratori all’uopo incaricati;
          b) in caso di riparazione, di trasformazione o manutenzione, il lavoratore interessato sia qualificato in maniera specifica per svolgere tali compiti.
          ART. 36 – Disposizioni concernenti le attrezzature di lavoro
          1. Le attrezzature di lavoro messe a disposizione dei lavoratori devono soddisfare alle disposizioni legislative e regolamentari in materia di tutela della sicurezza e salute dei lavoratori stessi ad esse applicabili.
          2. Nulla è innovato nel regime giuridico che regola le operazioni di verifica periodica delle attrezzature per le quali tale regime è obbligatoriamente previsto. In ogni caso le modalità e le procedure tecniche delle relative verifiche seguono il regime giuridico corrispondente a quello in base al quale l’attrezzatura è stata costruita e messa in servizio.
          3. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato e della sanità, sentita la commissione consultiva permanente, può stabilire modalità e procedure per l’effettuazione delle verifiche di cui al comma 2.
          4. Nell’art. 52 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, dopo il comma 2 è aggiunto, infine, il seguente comma: “Se ciò è appropriato e funzionale rispetto ai pericoli dell’attrezzatura di lavoro e del tempo di arresto normale, un’attrezzatura di lavoro deve essere munita di un dispositivo di arresto di emergenza.”.
          5. Nell’art. 53 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, dopo il comma 3 è aggiunto, infine, il seguente comma: “Qualora i mezzi di cui al comma 1 svolgano anche la funzione di allarme essi devono essere ben visibili ovvero comprensibili senza possibilità di errore.”.
          6. Nell’art. 374 del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, dopo il comma 2 è aggiunto, infine, il seguente comma: “Ove per le apparecchiature di cui al comma 2 è fornito il libretto di manutenzione occorre prevedere l’aggiornamento di questo libretto.”.
          7. Nell’art. 20 del decreto del Presidente della Repubblica 18 marzo 1956, n. 303, dopo il comma 2 sono aggiunti, infine, i seguenti commi: “Un’attrezzatura che presenti pericoli causati da cadute o da proiezione di oggetti deve essere munita di dispositivi appropriati di sicurezza corrispondenti a tali pericoli. Un’attrezzatura di lavoro che comporti pericoli dovuti ad emanazione di gas, vapori o liquidi ovvero ad emissioni di polvere, deve essere munita di appropriati dispositivi di ritenuta ovvero di estrazione vicino alla fonte corrispondente a tali pericoli.”.
          8. Le disposizioni del presente articolo entrano in vigore tre mesi dopo la pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

          ART. 37 – Informazione
          1. Il datore di lavoro provvede affinché, per ogni attrezzatura di lavoro a disposizione, i lavoratori incaricati dispongano di ogni informazione e di ogni istruzione d’uso necessaria in rapporto alla sicurezza e relativa:
          a) alle condizioni di impiego delle attrezzature anche sulla base delle conclusioni eventualmente tratte dalle esperienze acquisite nella fase di utilizzazione delle attrezzature di lavoro;
          b) alle situazioni anormali prevedibili.
          2. Le informazioni e le istruzioni d’uso devono risultare comprensibili ai lavoratori interessati.

          ART. 38 – Formazione ed addestramento
          1. Il datore di lavoro si assicura che:
          a) i lavoratori incaricati di usare le attrezzature di lavoro ricevono una formazione adeguata sull’uso delle attrezzature di lavoro;
          b) i lavoratori incaricati dell’uso delle attrezzature che richiedono conoscenze e responsabilità particolari di cui all’art. 35, comma 5, ricevono un addestramento adeguato e specifico che li metta in grado di usare tali attrezzature in modo idoneo e sicuro anche in relazione ai rischi causati ad altre persone.

          ART. 39 – Obblighi dei lavoratori
          1. I lavoratori si sottopongono ai programmi di formazione o di addestramento eventualmente organizzati dal datore di lavoro.
          2. I lavoratori utilizzano le attrezzature di lavoro messe a loro disposizione conformemente all’informazione, alla formazione e all’addestramento ricevuti.
          3. I lavoratori:
          a) hanno cura delle attrezzature di lavoro messe a loro disposizione;
          b) non vi apportano modifiche di propria iniziativa;
          c) segnalano immediatamente al datore di lavoro o al dirigente o al preposto qualsiasi difetto o inconveniente da essi rilevato nelle attrezzature di lavoro messe a loro disposizione.

          ART. 40 – Definizioni
          1. Si intende per dispositivo di protezione individuale (DPI) qualsiasi attrezzatura destinata a essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciare la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo.
          2. Non sono dispositivi di protezione individuale:
          a) gli indumenti di lavoro ordinari e le uni-
          formi non specificamente destinati a proteggere la sicurezza e la salute del lavoratore;
          b) le attrezzature dei servizi di soccorso e di salvataggio;
          c) le attrezzature di protezione individuale delle forze armate, delle forze di polizia e del personale del servizio per il mantenimento dell’ordine pubblico;
          d) le attrezzature di protezione individuabile proprie dei mezzi di trasporto stradali;
          e) i materiali sportivi;
          f) i materiali per l’autodifesa o per la dissuasione;
          g) gli apparecchi portatili per individuare e segnalare rischi e fattori nocivi.

          ART. 41 – Obbligo di uso
          1. I DPI devono essere impiegati quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di riorganizzazione del lavoro.

          ART. 42 – Requisiti dei Dpi
          1. I DPI devono essere conformi alle norme di cui al decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475.
          2. I DPI di cui al comma 1 devono inoltre:
          a) essere adeguati ai rischi da prevenire, senza comportare di per sé un rischio maggiore;
          b) essere adeguati alle condizioni esistenti sul luogo di lavoro;
          c) tenere conto delle esigenze ergonomiche o di salute del lavoratore;
          d) poter essere adattati all’utilizzatore secondo le sue necessità.
          3. In caso di rischi multipli che richiedono l’uso simultaneo di più DPI, questi devono essere tra loro compatibili e tali da mantenere, anche nell’uso simultaneo, la propria efficacia nei confronti del rischio e dei rischi corrispondenti.

          ART. 43 – Obblighi del datore di lavoro
          1. Il datore di lavoro ai fini della scelta dei DPI:
          a) effettua l’analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri
          a) effettua l’analisi e la valutazione dei rischi che non possono essere evitati con altri mezzi;
          b) individua le caratteristiche dei DPI necessarie affinché questi siano adeguati ai rischi di cui alla lettera a), tenendo conto delle eventuali ulteriori fonti di rischio rappresentate dagli stessi DPI;
          c) valuta, sulla base delle informazioni a corredo dei DPI fornite dal fabbricante e delle norme d’uso di cui all’art. 45, le caratteristiche dei DPI disponibili sul mercato e le raffronta con quelle individuate alla lettera b);
          d) aggiorna la scelta ogni qualvolta intervenga una variazione significativa negli elementi di valutazione di cui al comma 1.
          2. Il datore di lavoro, anche sulla base delle norme d’uso di cui all’art. 45, individua le condizioni in cui un DPI deve essere usato, specie per quanto riguarda la durata dell’uso, in funzione di:
          a) entità del rischio;
          b) frequenza dell’esposizione al rischio;
          c) caratteristiche del posto di lavoro di ciascun lavoratore;
          d) prestazioni del DPI.
          3. Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori i DPI conformi ai requisiti previsti dall’art. 42 e dal decreto di cui all’art. 45, comma 2.
          4. Il datore di lavoro:
          a) mantiene in efficienza i DPI e ne assicura le condizioni d’igiene, mediante la manutenzione, le riparazioni e le sostituzioni necessarie;
          b) provvede a che i DPI siano utilizzati soltanto per gli usi previsti, salvo casi specifici ed eccezionali, conformemente alle informazioni del fabbricante;
          c) fornisce istruzioni comprensibili per i lavoratori;
          d) destina ogni DPI a un uso personale e, qualora le circostanze richiedano l’uso di uno stesso DPI da parte di più persone, prende misure adeguate affinché tale uso non ponga alcun problema sanitario e igienico ai vari utilizzatori;
          e) informa preliminarmente il lavoratore dei rischi dai quali il DPI lo protegge;
          f) rende disponibile nell’azienda ovvero unità produttiva informazioni adeguate su ogni DPI;
          g) assicura una formazione adeguata e organizza, un necessario, uno specifico addestramento circa l’uso corretto e l’utilizzo pratico dei DPI.
          5. In ogni caso l’addestramento è indispensabile:
          a) per ogni DPI che, ai sensi del decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475, appartenga alla terza categoria;
          b) per i dispositivi di protezione dell’udito.

          ART. 44 – Obblighi dei lavoratori
          1. I lavoratori si sottopongono al programma di formazione e addestramento organizzato dal datore di lavoro nei casi ritenuti necessari ai sensi dell’art. 43, commi 4, lett. g), e 5.
          2. I lavoratori utilizzano i DPI messi a loro disposizione conformemente all’informazione e alla formazione ricevute e all’addestramento eventualmente organizzato.
          3. I lavoratori:
          a) hanno cura dei DPI messi a loro disposizione;
          b) non vi apportano modifiche di propria iniziativa.
          4. Al termine dell’utilizzo i lavoratori seguono le procedure aziendali in materia di riconsegna dei DPI.
          5. I lavoratori segnalano immediatamente al datore di lavoro o al dirigente o al preposto qualsiasi difetto o inconveniente da essi rilevato nei DPI messi a loro disposizione.

          ART. 45 – Criteri per l’individuazione e l’uso
          1. Il contenuto degli allegati III, IV e V costituisce elemento di riferimento per l’applicazione di quanto previsto all’art. 43, commi 1 e 4.
          2. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale con decreto dei Ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato, sentita la commissione consultiva permanente, tenendo conto della natura, dell’attività e dei fattori specifici di rischio, indica:
          a) i criteri per l’individuazione e l’uso dei DPI;
          b) le circostanze e le situazioni in cui, ferme restando le priorità delle misure di protezione collettiva, si rende necessario l’impiego dei DPI.

          ART. 46 – Norma transitoria
          1. Fino alla data del 31 dicembre 1998 e, nel caso di dispositivi di emergenza destinati all’autosalvataggio in caso di evacuazione, fino al 31 dicembre 2004 possono essere impiegati:
          a) i DPI commercializzati ai sensi dell’art. 15, comma 1, del decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 475;
          b) i DPI già in uso alla data di entrata in vigore del presente decreto prodotti conformemente alle normative vigenti nazionali o di altri Paesi della Comunità europea.

          ART. 47 – Campo di applicazione
          1. Le norme del presente titolo si applicano alle attività che comportano la movimentazione manuale dei carichi con rischi, tra l’altro, di lesioni dorso-lombari per i lavoratori durante il lavoro.
          2. Si intendono per:
          a) movimentazione manuale dei carichi: le operazioni di trasporto o di sostegno di un carico a opera di uno o più lavoratori, comprese le azioni del sollevare, deporre, spingere, tirare, portare o spostare un carico che, per le loro caratteristiche o in conseguenza delle condizioni ergonomiche sfavorevoli, comportino tra l’altro rischi di lesioni dorso-lombari;
          b) lesioni dorso-lombari: lesioni a carico delle strutture osteomiotendinee e nerveovascolari a livello dorso-lombare.

          ART. 48 – Obblighi dei datori di lavoro
          1. Il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie o ricorre ai mezzi appropriati, in particolare attrezzature meccaniche, per evitare la necessità di una movimentazione manuale dei carichi da parte dei lavoratori.
          2. Qualora non sia possibile evitare la movimentazione manuale dei carichi a opera dei lavoratori, il datore di lavoro adotta le misure organizzative necessarie, ricorre ai mezzi appropriati o fornisce ai lavoratori stessi i mezzi adeguati, allo scopo di ridurre il rischio che comporta la movimentazione manuale dei detti carichi, in base all’allegato VI.
          3. Nel caso in cui la necessità di una movimentazione manuale di un carico a opera del lavoratore non possa essere evitata, il datore di lavoro organizza i posti di lavoro in modo che detta movimentazione sia quanto più possibile sicura e sana.
          4. Nei casi di cui al comma 3 il datore di lavoro:
          a) valuta, se possibile, preliminarmente, le condizioni di sicurezza e di salute connesse al lavoro in questione e tiene conto in particolare delle caratteristiche del carico, in base all’allegato VI;
          b) adotta le misure atte a evitare o ridurre tra l’altro i rischi di lesioni dorso-lombari, tenendo conto in particolare dei fattori individuali di rischi, delle caratteristiche dell’ambiente di lavoro e delle esigenze che tale attività comporta, in base all’allegato VI;
          c) sottopone alla sorveglianza sanitaria di cui all’art. 16 gli addetti alle attività di cui al presente titolo.

          ART. 49 – Informazione e formazione
          1. Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto riguarda:
          a) il peso di un carico;
          b) il centro di gravità o il lato più pesante nel caso in cui il contenuto di un imballaggio abbia una collocazione eccentrica;
          c) la movimentazione corretta dei carichi e i rischi che i lavoratori corrono se queste attività non vengono eseguite in maniera corretta, tenuto conto degli elementi di cui all’allegato VI.
          2. Il datore di lavoro assicura ai lavoratori una formazione adeguata, in particolare in ordine a quanto indicato al comma 1.

          ART. 50 – Campo di applicazione
          1. Le norme del presente titolo si applicano alle attività lavorative che comportano l’uso di attrezzature munite di videoterminali.
          2. Le norme del presente titolo si applicano ai lavoratori addetti:
          a) ai posti di guida di veicoli o macchine;
          b) ai sistemi informatici montati a bordo di un mezzo di trasporto;
          c) ai sistemi informatici destinati in modo prioritario all’utilizzazione da parte del pubblico;
          d) ai sistemi denominati portatili ove non siano oggetto di utilizzazione prolungata in un posto di lavoro;
          e) alle macchine calcolatrici, ai registratori di cassa e a tutte le attrezzature munite di un piccolo dispositivo di visualizzazione dei dati o delle misure, necessario all’uso diretto di tale attrezzatura;
          f) alle macchine di videoscrittura senza schermo separato.

          ART. 51 – Definizioni
          1. Ai fini del presente titolo si intende per:
          a) videoterminale: uno schermo alfanumerico o grafico a prescindere dal tipo di procedimento di visualizzazione utilizzato;
          b) posto di lavoro: l’insieme che comprende le attrezzature munite di videoterminale, eventualmente con tastiera ovvero altro sistema di immissione dati, ovvero software per l’interfaccia uomo-macchina, gli accessori opzionali, le apparecchiature connesse, comprendenti l’unità a dischi, il telefono, il modem, la stampante, il supporto per i documenti, la sedia, il piano di lavoro, nonché l’ambiente di lavoro immediatamente circostante;
          c) lavoratore: il lavoratore che utilizza un’attrezzatura munita di videoterminale in modo sistematico e abituale, per almeno quattro ore consecutive giornaliere, dedotte le pause di cui all’art. 54, per tutta la settimana lavorativa.

          ART. 52 – Obblighi del datore di lavoro
          1. Il datore di lavoro, all’atto della valutazione del rischio di cui all’art. 4, comma 1, analizza i posti di lavoro con particolare riguardo:
          a) ai rischi per la vista e per gli occhi;
          b) ai problemi legati alla postura e all’affaticamento fisico o mentale;
          c) alle condizioni ergonomiche e di igiene ambientale.
          2. Il datore di lavoro adotta le misure appropriate per ovviare ai rischi riscontrati in base alle valutazioni di cui al comma 1, tenendo conto della somma ovvero della combinazione dell’incidenza dei rischi riscontrati.

          ART. 53 – Organizzazione del lavoro
          1. Il datore di lavoro assegna le mansioni e i compiti lavorativi comportanti l’uso dei videoterminali anche secondo una distribuzione del lavoro che consenta di evitare il più possibile la ripetitività e la monotonia delle operazioni.

          ART. 54 – Svolgimento quotidiano del lavoro
          1. Il lavoratore, qualora svolga la sua attività per almeno quattro ore consecutive, ha diritto a un’interruzione della sua attività mediante pause ovvero cambiamento di attività.
          2. Le modalità di tali interruzioni sono stabilite dalla contrattazione collettiva anche aziendale.
          3. In assenza di una disposizione contrattuale riguardante l’interruzione di cui al comma 1 il lavoratore comunque ha diritto a una pausa di 15 minuti ogni 120 minuti di applicazione continuativa al videoterminale.
          4. Le modalità e la durata delle interruzioni possono essere stabilite temporaneamente a livello individuale ove il medico competente ne evidenzi la necessità.
          5. È comunque esclusa la cumulabilità delle interruzioni all’inizio e al termine dell’orario di lavoro.
          6. Nel computo dei tempi di interruzione non sono compresi i tempi di attesa della risposta da parte del sistema elettronico, che sono considerati, a tutti gli effetti, tempo di lavoro, ove il lavoratore non possa abbandonare il posto di lavoro.
          7. La pausa è considerata a tutti gli effetti parte integrante dell’orario di lavoro e, come tale, non è riassorbibile all’interno di accordi che prevedano la riduzione dell’orario complessivo di lavoro.

          ART. 55 – Sorveglianza sanitaria
          1. I lavoratori di cui all’art. 54, prima di essere addetti alle attività di cui al presente titolo, sono sottoposti a una visita medica per evidenziare eventuali malformazioni strutturali e ad un esame degli occhi e della vista effettuato dal medico competente. Qualora l’esito della visita medica ne evidenzi la necessità, il lavoratore è sottoposto ad esami specialistici.
          2. In base alle risultanze degli accertamenti di cui al comma 1 i lavoratori vengono classificati in:
          a) idonei, con o senza prescrizioni;
          b) non idonei.
          3. I lavoratori classificati come idonei con prescrizioni ed i lavoratori che abbiano compiuto il 45° anno di età sono sottoposti a visita di controllo con periodicità almeno biennale.
          4. Il lavoratore è sottoposto a controllo oftalmologico a sua richiesta, ogni qualvolta sospetti di una sopravvenuta alterazione della funzione visiva, confermata dal medico competente.
          5. La spesa relativa alla dotazione di dispositivi speciali di correzione in funzione dell’attività svolta è a carico del datore di lavoro.

          ART. 56 – Informazione e formazione
          1. Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori informazioni, in particolare per quanto riguarda:
          a) le misure applicabili al posto di lavoro, in base all’analisi dello stesso di cui all’art. 52;
          b) le modalità di svolgimento dell’attività;
          c) la protezione degli occhi e della vista.
          2. Il datore di lavoro assicura ai lavoratori una formazione adeguata in particolare in ordine a quanto indicato al comma 1.
          3. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il ministro della sanità, stabilisce con decreto una guida d’uso dei videoterminali.

          ART. 57 – Consultazione e partecipazione
          1. Il datore di lavoro informa preventivamente i lavoratori e il rappresentante per la sicurezza dei cambiamenti tecnologici che comportano mutamenti nell’organizzazione del lavoro, in riferimento alle attività di cui al presente titolo.

          ART. 58 – Adeguamento alle norme
          1. I posti di lavoro utilizzati successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto devono essere conformi alle prescrizioni dell’allegato VII.
          2. I posti di lavoro utilizzati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto devono essere adeguati a quanto prescritto al comma 1 entro il 1° gennaio 1996.

          ART. 59 – Caratteristiche tecniche
          1. Con decreto dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della sanità e dell’industria, del commercio e dell’artigianato, sentita la commissione consultiva permanente, sono disposti, anche in recepimento di direttive comunitarie, gli adattamenti di carattere tecnico all’allegato VII in funzione del progresso tecnico, dell’evoluzione delle normative e specifiche internazionali oppure delle conoscenze nel settore delle attrezzature dotate di videoterminali.

          ART. 60 – Campo di applicazione
          1. Le norme del presente titolo si applicano a tutte le attività nelle quali i lavoratori sono o possono essere esposti ad agenti cancerogeni a causa della loro attività lavorativa.
          2. Le norme del presente titolo non si applicano alle attività disciplinate da:
          a) decreto del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 962;
          b) decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 77;
          c) decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, capo III.
          3. Il presente titolo non si applica ai lavoratori esposti soltanto alle radiazioni previste dal trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica.

          ART. 61 – Definizioni
          1. Agli effetti del presente decreto si intende per agente cancerogeno:
          a) una sostanza alla quale, nell’allegato 1 della direttiva 67/548/CEE, è attribuita la menzione R 45: “Può provocare il cancro” o la menzione R 49: “Può provocare il cancro per inalazione”;
          b) un preparato su cui, a norma dell’art. 3, paragrafo 5, lettera j), della direttiva 88/379/CEE deve essere apposta l’etichetta con la menzione R 45: “Può provocare il cancro” o con la menzione R 49: “Può provocare il cancro per inalazione”;
          c) una sostanza, un preparato o un processo di cui all’allegato VIII nonché una sostanza od un preparato prodotti durante un processo previsto all’allegato VIII.

          ART. 62 – Sostituzione e riduzione
          1. Il datore di lavoro evita o riduce l’utilizzazione di un agente cancerogeno sul luogo di lavoro in particolare sostituendolo, sempre che ciò è tecnicamente possibile, con una sostanza o un preparato o un procedimento che nelle condizioni in cui viene utilizzato non è o è meno nocivo alla salute e eventualmente alla sicurezza dei lavoratori.
          2. Se non è tecnicamente possibile sostituire l’agente cancerogeno il datore di lavoro provvede affinché la produzione o l’utilizzazione dell’agente cancerogeno avvenga in un sistema chiuso sempre che ciò è tecnicamente possibile.
          3. Se il ricorso a un sistema chiuso non è tecnicamente possibile il datore di lavoro provvede affinché il livello di esposizione dei lavoratori sia ridotto al più basso valore tecnicamente possibile.

          ART. 63 – Valutazione del rischio
          1. Fatto salvo quanto previsto dall’art. 62, il datore di lavoro effettua una valutazione dell’esposizione a agenti cancerogeni, i risultati della quale sono riportati nel documento di cui all’art. 4, commi 2 e 3.
          2. Detta valutazione tiene conto, in particolare, delle caratteristiche delle lavorazioni, della loro durata e della loro frequenza, dei quantitativi di agenti cancerogeni prodotti ovvero utilizzati, della loro concentrazione, della capacità degli stessi di penetrare nell’organismo per le diverse vie di assorbimento, anche in relazione al loro stato di aggregazione e, qualora allo stato solido, se in massa compatta o in scaglie o in forma polverulenta e se o meno contenuti in una matrice solida che ne riduce o ne impedisce la fuoriuscita.
          3. Il datore di lavoro, in relazione ai risultati della valutazione di cui al comma 1, adotta le misure preventive e protettive del presente titolo, adattandole alle particolarità delle situazioni lavorative.
          4. Il documento di cui all’art. 4, commi 2 e 3, è integrato con i seguenti dati:
          a) le attività lavorative che comportano la presenza di sostanze o preparati cancerogeni o di processi industriali di cui all’allegato VIII, con l’indicazione dei motivi per i quali sono impiegati agenti cancerogeni;
          b) i quantitativi di sostanze ovvero preparati cancerogeni prodotti ovvero utilizzati, ovvero presenti come impurità o sottoprodotti;
          c) il numero dei lavoratori esposti ovvero potenzialmente esposti ad agenti cancerogeni;
          d) l’esposizione dei suddetti lavoratori, ove nota e il grado della stessa;
          e) le misure preventive e protettive applicate e il tipo dei dispositivi di protezione individuali utilizzati;
          f) le indagini svolte per la possibile sostituzione degli agenti cancerogeni e le sostanze e i preparati eventualmente utilizzati come sostituti.
          5. Il datore di lavoro effettua nuovamente la valutazione di cui al comma 1 in occasione di modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza e della salute sul lavoro e, in ogni caso, trascorsi tre anni dall’ultima valutazione effettuata.
          6. Il rappresentante per la sicurezza ha accesso anche ai dati di cui al comma 4, fermo restando l’obbligo di cui all’art. 9, comma 3.

          ART. 64 – Misure tecniche, organizzative, procedurali
          1. Il datore di lavoro:
          a) assicura, applicando metodi e procedure di lavoro adeguati, che nelle varie operazioni lavorative siano impiegati quantitativi di agenti cancerogeni non superiori alle necessità delle lavorazioni e che gli agenti cancerogeni in attesa di impiego, in forma fisica tale da causare rischio di introduzione, non sono accumulati sul luogo di lavoro in quantitativi superiori alle necessità predette;
          b) limita al minimo possibile il numero dei lavoratori esposti o che possono essere esposti ad agenti cancerogeni, anche isolando le lavorazioni in aree predeterminate provviste di adeguati segnali di avvertimento e di sicurezza, compresi i segnali “vietato fumare”, ed accessibili soltanto ai lavoratori che debbono recarvisi per motivi connessi con la loro mansione o con la loro funzione. In dette aree è fatto divieto di fumare;
          c) progetta, programma e sorveglia le lavorazioni in modo che non vi è emissione di agenti cancerogeni nell’aria. Se ciò non è tecnicamente possibile, l’eliminazione degli agenti cancerogeni deve avvenire il più vicino possibile al punto di emissione mediante aspirazione localizzata, nel rispetto dell’art. 4, comma 5, lett. n). L’ambiente di lavoro deve comunque essere dotato di un adeguato sistema di ventilazione generale;
          d) provvede alla misurazione di agenti cancerogeni per verificare l’efficacia delle misure di cui alla lettera c) e per individuare precocemente le esposizioni anomale causate da un evento non prevedibile o da un incidente, con metodi di campionatura e di misurazione conformi alle indicazioni dell’allegato VIII del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277;
          e) provvede alla regolare e sistematica pulitura dei locali, delle attrezzature e degli impianti;
          f) elabora procedure per i casi di emergenza che possono comportare esposizioni elevate;
          g) assicura che gli agenti cancerogeni sono conservati, manipolati, trasportati in condizioni di sicurezza;
          h) assicura che la raccolta e l’immagazzinamento, ai fini dello smaltimento degli scarti e dei residui delle lavorazioni contenenti agenti cancerogeni, avvengano in condizioni di sicurezza, in particolare utilizzando contenitori ermetici etichettati in modo chiaro, netto, visibile;
          i) dispone, su conforme parere del medico competente, misure protettive particolari per quelle categorie di lavoratori per i quali l’esposizione a taluni agenti cancerogeni presenta rischi particolarmente elevati.

          ART. 65 – Misure igieniche
          1. Il datore di lavoro:
          a) assicura che i lavoratori dispongano di servizi igienici appropriati e adeguati;
          b) dispone che i lavoratori abbiano in dotazione idonei indumenti protettivi da riporre in posti separati dagli abiti civili;
          c) provvede affinché i dispositivi di protezione individuale siano custoditi in luoghi determinati, controllati e puliti dopo ogni utilizzazione, provvedendo altresì a far riparare o sostituire quelli difettosi, prima di ogni nuova utilizzazione.
          2. E vietato assumere cibi e bevande o fumare nelle zone di lavoro di cui all’art. 64, lettera b).

          ART. 66 – Informazione e formazione
          1. Il datore di lavoro fornisce ai lavoratori, sulla base delle conoscenze disponibili, informazioni ed istruzioni in particolare per quanto riguarda:
          a) gli agenti cancerogeni presenti nei cicli lavorativi, la loro dislocazione, i rischi per la salute connessi al loro impiego, ivi compresi i rischi supplementari dovuti al fumare;
          b) le precauzioni da prendere per evitare l’esposizione;
          c) le misure igieniche da osservare;
          d) la necessità di indossare e impiegare indumenti di lavoro e protettivi e dispositivi individuali di protezione ed il loro corretto impiego;
          e) il modo di prevenire il verificarsi di incidenti e le misure da adottare per ridurre al minimo le conseguenze.
          2. Il datore di lavoro assicura ai lavoratori una formazione adeguata in particolare in ordine a quanto indicato al comma 1.
          3. L’informazione e la formazione di cui ai commi 1 e 2 sono fornite prima che i lavoratori siano adibiti alle attività in questione e vengono ripetute, con frequenza almeno quinquennale, e comunque ogni qualvolta si verifichino nelle lavorazioni cambiamenti che influiscono sulla natura e sul grado dei rischi.
          4. Il datore di lavoro provvede inoltre affinché gli impianti, i contenitori, gli imballaggi contenenti agenti cancerogeni siano etichettati in maniera chiaramente leggibile e comprensibile. I contrassegni utilizzati e le altre indicazioni devono essere conformi al disposto della legge 29 maggio 1974, n. 256, e successive modifiche ed integrazioni.

          ART. 67 – Esposizione non prevedibile
          1. Se si verificano eventi non prevedibili o incidenti che possono comportare un’esposizione anomala dei lavoratori, il datore di lavoro adotta quanto prima misure appropriate per identificare e rimuovere la causa dell’evento e ne informa i lavoratori e il rappresentante per la sicurezza.
          2. I lavoratori devono abbandonare immediatamente l’area interessata, cui possono accedere soltanto gli addetti agli interventi di riparazione ed ad altre operazioni necessarie, indossando idonei indumenti protettivi e dispositivi di protezione delle vie respiratorie, messi a loro disposizione dal datore di lavoro. In ogni caso l’uso dei dispositivi di protezione non può essere permanente e la sua durata, per ogni lavoratore, è limitata al minimo strettamente necessario.
          3. Il datore di lavoro comunica al più presto all’organo di vigilanza il verificarsi degli eventi di cui al comma 1 e riferisce sulle misure adottate per ridurre al minimo le conseguenze.

          ART. 68 – Operazioni lavorative particolari
          1. Nel caso di determinate operazioni lavorative, come quella di manutenzione, per le quali, nonostante l’adozione di tutte le misure di prevenzione tecnicamente applicabili, è prevedibile un’esposizione rilevante dei lavoratori addetti, il datore di lavoro previa consultazione del rappresentante per la sicurezza:
          a) dispone che soltanto tali lavoratori hanno accesso alle suddette aree anche provvedendo, ove tecnicamente possibile, all’isolamento delle stesse ed alla loro identificazione mediante appositi contrassegni;
          b) fornisce ai lavoratori speciali indumenti e dispositivi di protezione individuale che devono essere indossati dai lavoratori adibiti alle suddette operazioni.
          2. La presenza nelle aree di cui al comma 1 dei lavoratori addetti è in ogni caso ridotta al minimo compatibilmente con le necessità delle lavorazioni.

          ART. 69 – Accertamenti sanitari e norme preventive e protettive specifiche
          1. I lavoratori per i quali la valutazione di cui all’art. 63 ha evidenziato un rischio per la salute sono sottoposti a sorveglianza sanitaria.
          2. Il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure preventive e protettive per singoli lavoratori sulla base delle risultanze degli esami clinici e biologici effettuati.
          3. Le misure di cui al comma 2 possono comprendere l’allontanamento del lavoratore secondo le procedure dell’art. 8 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277.
          4. Ove gli accertamenti sanitari abbiano evidenziato, nei lavoratori esposti in modo analogo a uno stesso agente, l’esistenza di una anomalia imputabile a tale esposizione, il medico competente ne informa il datore di lavoro.
          5. A seguito dell’informazione di cui al comma 4 il datore di lavoro dispone una nuova valutazione del rischio in conformità all’art. 63 e, ove tecnicamente possibile, una misurazione della concentrazione dall’agente in aria, per verificare l’efficacia delle misure adottate.
          6. Il medico competente fornisce ai lavoratori adeguate informazioni sulla sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti, con particolare riguardo all’opportunità di sottoporsi ad accertamenti sanitari anche dopo la cessazione dell’attività lavorativa.

          ART. 70 – Registro di esposizione e cartelle sanitarie
          1. I lavoratori di cui all’art. 69 sono iscritti in un registro nel quale è riportata, per ciascuno di essi, l’attività svolta, l’agente cancerogeno utilizzato ed, ove noto, il valore dell’esposizione a tale agente. Detto registro è istituito e aggiornato dal datore di lavoro che ne cura la tenuta per il tramite del medico competente. Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi e il rappresentante per la sicurezza hanno accesso a detto registro.
          2. Per ciascuno dei lavoratori di cui all’art. 69 è istituita una cartella sanitaria e di rischio, custodita, a cura del medico competente, presso l’azienda ovvero l’unità produttiva, sotto la responsabilità del datore di lavoro.
          3. Il datore di lavoro:
          a) consegna copia del registro di cui al comma 1 all’ISPESL ed all’organo di vigilanza competente per territorio e comunicando loro ogni 3 anni, e comunque ogni qualvolta i medesimi ne facciano richiesta, le variazioni intervenute;
          b) consegna, a richiesta, all’Istituto superiore di sanità copia del registro di cui al comma 1;
          c) comunica, all’ISPESL e all’organo di vigilanza competente per territorio, la cessazione del rapporto di lavoro dei lavoratori di cui all’art. 69, con le eventuali variazioni sopravvenute dall’ultima comunicazione, delle relative annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1. Consegna all’ISPESL le relative cartelle sanitarie e di rischio di cui al comma 2;
          d) in caso di cessazione di attività dell’azienda, consegna il registro di cui al comma 1 all’ISPESL e copia dello stesso all’organo di vigilanza competente per territorio. Consegna all’ISPESL le cartelle sanitarie e di rischio di cui al comma 2;
          e) in caso di assunzione di lavoratori che hanno in precedenza esercitato attività con esposizione al medesimo agente, richiede all’ISPESL copia delle annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1, nonché copia della cartella sanitaria e di rischio di cui al comma 2;
          f) tramite il medico competente comunica ai lavoratori interessati le relative annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1 e nella cartella sanitaria e di rischio di cui al comma 2 ed al rappresentante per la sicurezza, i dati collettivi anonimi contenuti nel registro di cui al comma 1.
          4. Le annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1 e le cartelle sanitarie e di rischio di cui al comma 2 sono conservate dal datore di lavoro almeno fino a risoluzione del rapporto di lavoro e dall’ISPESL fino a quaranta anni dalla cessazione di ogni attività che espone ad agenti cancerogeni.
          5. La documentazione di cui ai precedenti comma è custodita e trasmessa con salvaguardia del segreto professionale.
          6. I modelli e le modalità di tenuta dei registri e delle cartelle sanitarie di cui rispettivamente ai commi 1 e 2 sono determinati con decreto del Ministro della sanità di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, sentita la commissione consultiva permanente.
          7. L’ISPESL trasmette annualmente al Ministero della sanità dati di sintesi relativi alle risultanze dei requisiti di cui al comma 1.

          ART. 71 – Registrazione dei tumori
          1. I medici, le strutture sanitarie pubbliche e private, nonché gli istituti previdenziali assicurativi pubblici o privati, che refertano casi di neoplasie da loro ritenute causate da esposizione lavorativa ad agenti cancerogeni, trasmettono all’ISPESL copia della relativa documentazione clinica ovvero anatomopatologica e quella inerente l’anamnesi lavorativa.
          2. Presso l’ISPESL è tenuto, ai fini di analisi aggregate, un archivio nominativo dei casi di neoplasia di cui al comma 1.
          3. Con decreto dei Ministri della sanità e del lavoro e della previdenza sociale, sentita la commissione consultiva permanente, sono determinate le caratteristiche dei sistemi informativi che, in funzione del tipo di neoplasia accertata, ne stabiliscono la raccolta, l’acquisizione, l’elaborazione e l’archiviazione, nonché le modalità di registrazione di cui al comma 2, e le modalità di trasmissione di cui al comma 1.
          4. Il Ministero della sanità fornisce, su richiesta, alla Commissione CE, informazioni sulle utilizzazioni dei dati del registro di cui al comma 1.

          ART. 72 – Adeguamenti normativi
          1. Nelle attività con uso di sostanze o preparati ai quali è attribuita dalla direttiva comunitaria la menzione R 45: “Può provocare il cancro” o la menzione R 49: “Può provocare il cancro per inalazione”, il datore di lavoro applica le norme del presente titolo.
          2. Con decreto dei Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della sanità, sentita la commissione consultiva permanente e la commissione tossicologica nazionale, è aggiornato periodicamente l’elenco delle sostanze e dei processi di cui all’allegato VIII in funzione del progresso tecnico, dell’evoluzione di normative e specifiche internazionali e delle conoscenze nel settore degli agenti cancerogeni.

          ART. 73 – Campo di applicazione
          1. Le norme del presente titolo si applicano a tutte le attività lavorative nelle quali vi è rischio di esposizione ad agenti biologici.
          2. Restano ferme le disposizioni particolari di recepimento delle norme comunitarie sull’impiego confinato di microorganismi geneticamente modificati e sull’emissione deliberata nell’ambiente di organismi geneticamente modificati.
          ART. 74 – Definizioni
          1. Ai sensi del presente titolo si intende per:
          a) agente biologico: qualsiasi microorganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni;
          b) microorganismo: qualsiasi entità microbiologica, cellulare o meno, in grado di riprodursi o trasferire materiale genetico;
          c) coltura cellulare: il risultato della crescita in vitro di cellule derivate da organismi pluricellulari.

          ART. 75 – Classificazione degli agenti biologici
          1. Gli agenti biologici sono ripartiti nei seguenti quattro gruppi a seconda del rischio di infezione:
          a) agente biologico del gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani;
          b) agente biologico del gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; è poco probabile che si propaghi nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
          c) agente biologico del gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l’agente biologico può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche;
          d) agente biologico del gruppo 4: un agente biologico che può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche.
          2. Nel caso in cui l’agente biologico oggetto di classificazione non può essere attribuito in modo inequivocabile a uno fra i due gruppi sopraindicati, esso va classificato nel gruppo di rischio più elevato tra le due possibilità.
          3. L’allegato XI riporta l’elenco degli agenti biologici classificati nei gruppi 2, 3, 4.

          ART. 76 – Comunicazione
          1. Il datore di lavoro che intende esercitare attività che comportano uso di agenti biologici dei gruppi 2 o 3, comunica all’organo di vigilanza territorialmente competente le seguenti informazioni, almeno 30 giorni prima dell’inizio dei lavori:
          a) il nome e l’indirizzo dell’azienda e il suo titolare;
          b) il documento di cui all’art. 78, comma 5.
          2. Il datore di lavoro che è stato autorizzato all’esercizio di attività che comporta l’utilizzazione di un agente biologico del gruppo 4 è tenuto alla comunicazione di cui al comma 1.
          3. Il datore di lavoro invia una nuova comunicazione ogni qualvolta si verificano nelle lavorazioni mutamenti che comportano una variazione significativa del rischio per la salute sul posto di lavoro, o, comunque, ogni qualvolta si intende utilizzare un nuovo agente classificato dal datore di lavoro in via provvisoria.
          4. Il rappresentante per la sicurezza ha accesso alle informazioni di cui al comma 1.
          5. Ove le attività di cui al comma 1 comportano la presenza di microorganismi geneticamente modificati appartenenti al gruppo II, come definito all’art. 4 del decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 91, il documento di cui al comma 1, lettera b), è sostituito da copia della documentazione prevista per i singoli casi di specie dal predetto decreto.
          6. I laboratori che forniscono un servizio diagnostico sono tenuti alla comunicazione di cui al comma 1 anche per quanto riguarda gli agenti biologici del gruppo 4.
          ART. 77 – Autorizzazione
          1. Il datore di lavoro che intende utilizzare, nell’esercizio della propria attività, un agente biologico del gruppo 4 deve munirsi di autorizzazione del Ministero della sanità.
          2. La richiesta di autorizzazione è corredata da:
          a) le informazioni di cui all’art. 76, comma 1;
          b) l’elenco degli agenti che si intende utilizzare.
          3. L’autorizzazione è rilasciata dal Ministero della sanità sentito il parere dell’Istituto superiore di sanità. Essa ha la durata di 5 anni ed è rinnovabile. L’accertamento del venir meno di una delle condizioni previste per l’autorizzazione ne comporta la revoca.
          4. Il datore di lavoro in possesso dell’autorizzazione di cui al comma 1, informa il Ministero della sanità di ogni nuovo agente biologico del gruppo 4 utilizzato, nonché di ogni avvenuta cessazione di impiego di un agente biologico del gruppo 4.
          5. I laboratori che forniscono un servizio diagnostico sono esentati dagli adempimenti di cui al comma 4.
          6. Il Ministero della sanità comunica all’organo di vigilanza competente per territorio le autorizzazioni concesse e le variazioni sopravvenute nell’utilizzazione di agenti biologici del gruppo 4. Il Ministero della sanità istituisce ed aggiorna un elenco di tutti gli agenti biologici del gruppo 4 dei quali è stata comunicata l’utilizzazione sulla base delle previsioni di cui ai commi 1 e 4.

          ART. 78 – Valutazione del rischio
          1. Il datore di lavoro, nella valutazione del rischio di cui all’art. 4, comma 1, tiene conto di tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche dell’agente biologico e delle modalità lavorative, ed in particolare:
          a) della classificazione degli agenti biologici che presentano o possono presentare un pericolo per la salute umana quale risultante dall’allegato XI o, in assenza, di quella effettuata dal datore di lavoro stesso sulla base delle conoscenze disponibili e seguendo i criteri di cui all’art. 75, commi 1 e 2;
          b) dell’informazione sulle malattie che possono essere contratte;
          c) dei potenziali effetti allergici e tossici;
          d) della conoscenza di una patologia della quale sia affetto un lavoratore, che è da porre in correlazione diretta all’attività lavorativa svolta;
          e) delle eventuali ulteriori situazioni rese note dall’autorità sanitaria competente che possono influire sul rischio;
          f) del sinergismo dei diversi gruppi di agenti biologici utilizzati.
          2. Il datore di lavoro, in relazione al rischio accertato, adotta le misure protettive e preventive di cui al presente titolo, adattandole alle particolarità delle situazioni lavorative.
          3. Il datore di lavoro effettua nuovamente la valutazione di cui al comma 1 in occasione di modifiche dell’attività lavorativa significative ai fini della sicurezza e della salute sul lavoro e, in ogni caso, trascorsi tre anni dall’ultima valutazione effettuata.
          4. Nelle attività, quali quelle riportate a titolo esemplificativo nell’allegato IX, che, pur non comportando la deliberata intenzione di operare con agenti biologici, possono implicare il rischio di esposizioni dei lavoratori agli stessi, il datore di lavoro può prescindere dall’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 80, 81, commi 1 e 2, 82, comma 3, e 86, qualora i risultati della valutazione dimostrano che l’attuazione di tali misure non è necessaria.
          5. Il documento di cui all’art. 4, commi 2 e 3, è integrato dai seguenti dati:
          a) le fasi del procedimento lavorativo che comportano il rischio di esposizione ad agenti biologici;
          b) il numero dei lavoratori addetti alle fasi di cui alla lettera a);
          c) le generalità del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi;
          d) i metodi e le procedure lavorative adottate, nonché le misure preventive e protettive applicate;
          e) il programma di emergenza per la protezione dei lavoratori contro i rischi di esposizione ad un agente biologico del gruppo 3 o del gruppo 4, nel caso di un difetto nel contenimento fisico.
          6. Il rappresentante per la sicurezza è consultato prima dell’effettuazione della valutazione di cui al comma 1 ed ha accesso anche ai dati di cui al comma 5.

          ART. 79 – Misure tecniche, organizzative, procedurali
          1. In tutte le attività per le quali la valutazione di cui all’art. 78 evidenzia rischi per la salute dei lavoratori il datore di lavoro attua misure tecniche, organizzative e procedurali, per evitare ogni esposizione degli stessi ad agenti biologici.
          2. In particolare, il datore di lavoro:
          a) evita l’utilizzazione di agenti biologici nocivi, se il tipo di attività lavorativa lo consente;
          b) limita al minimo i lavoratori esposti, o potenzialmente esposti, al rischio di agenti biologici;
          c) progetta adeguatamente i processi lavorativi;
          d) adotta misure collettive di protezione ovvero misure di protezione individuali qualora non sia possibile evitare altrimenti l’esposizione;
          e) adotta misure igieniche per prevenire e ridurre al minimo la propagazione accidentale di un agente biologico fuori dal luogo di lavoro;
          f) usa il segnale di rischio biologico, rappresentato nell’allegato X, e altri segnali di avvertimento appropriati;
          g) elabora idonee procedure per prelevare, manipolare e trattare campioni di origine umana ed animale;
          h) definisce procedure di emergenza per affrontare incidenti;
          i) verifica la presenza di agenti biologici sul luogo di lavoro al di fuori del contenimento fisico primario, se necessario o tecnicamente realizzabile;
          l) predispone i mezzi necessari per la raccolta, l’immagazzinamento e lo smaltimento dei rifiuti in condizioni di sicurezza, mediante l’impiego di contenitori adeguati ed identificabili eventualmente dopo idoneo trattamento dei rifiuti stessi;
          m) concorda procedure per la manipolazione ed il trasporto in condizioni di sicurezza di agenti biologici all’interno del luogo di lavoro.

          ART. 80 – Misure igieniche
          1. In tutte le attività nelle quali la valutazione di cui all’art. 78 evidenzia rischi per la salute dei lavoratori, il datore di lavoro assicura che:
          a) i lavoratori dispongano dei servizi sanitari adeguati provvisti di docce con acqua calda e fredda, nonché, se del caso, di lavaggi oculari e antisettici per la pelle;
          b) i lavoratori abbiano in dotazione indumenti protettivi o altri indumenti idonei, da riporre in posti separati dagli abiti civili;
          c) i dispositivi di protezione individuale siano controllati, disinfettati e puliti dopo ogni utilizzazione, provvedendo altresì a far riparare o sostituire quelli difettosi prima dell’utilizzazione successiva;
          d) gli indumenti di lavoro e protettivi che possono essere contaminati da agenti biologici vengano tolti quando il lavoratore lascia la zona di lavoro, conservati separatamente dagli altri indumenti, disinfettati, puliti e, se necessario, distrutti.
          2. È vietato assumere cibi o bevande e fumare nelle aree di lavoro in cui c’è rischio di esposizione.
          ART. 81 – Misure specifiche per le strutture sanitarie e veterinarie
          1. Il datore di lavoro, nelle strutture sanitarie e veterinarie, in sede di valutazione dei rischi, presta particolare attenzione alla possibile presenza di agenti biologici nell’organismo dei pazienti o degli animali e nei relativi campioni e residui e al rischio che tale presenza comporta in relazione al tipo di attività svolta.
          2. In relazione ai risultati della valutazione il datore di lavoro definisce e provvede a che siano applicate procedure che consentono di manipolare, decontaminare ed eliminare senza rischi per l’operatore e per la comunità, i materiali ed i rifiuti contaminati.
          3. Nei servizi di isolamento che ospitano pazienti od animali che sono, o potrebbero essere, contaminati da agenti biologici del gruppo 3 o del gruppo 4, le misure di contenimento da attuare per ridurre al minimo il rischio di infezione sono indicate nell’allegato XII.

          ART. 82 – Misure specifiche per i laboratori e gli stabulari
          1. Fatto salvo quanto specificatamente previsto all’allegato XI, punto 6, nei laboratori comportanti l’uso di agenti biologici dei gruppi 2, 3 o 4 a fini di ricerca, didattici o diagnostici, e nei locali destinati ad animali da laboratorio deliberatamente contaminati con tali agenti, il datore di lavoro adotta idonee misure di contenimento in conformità all’allegato XII.
          2. Il datore di lavoro assicura che l’uso di agenti biologici sia eseguito:
          a) in aree di lavoro corrispondenti almeno al secondo livello di contenimento, se l’agente appartiene al gruppo 2;
          b) in aree di lavoro corrispondenti almeno al terzo livello di contenimento, se l’agente appartiene al gruppo 3;
          c) in aree di lavoro corrispondenti almeno al quarto livello di contenimento, se l’agente appartiene al gruppo 4.
          3. Nei laboratori comportanti l’uso di materiali con possibile contaminazione da agenti biologici patogeni per l’uomo e nei locali destinati ad animali da esperimento, possibili portatori di tali agenti, il datore di lavoro adotta misure corrispondenti almeno a quelle del secondo livello di contenimento.
          4. Nei luoghi di cui ai commi 1 e 3 in cui si fà uso di agenti biologici non ancora classificati, ma il cui uso può far sorgere un rischio grave per la salute dei lavoratori, il datore di lavoro adotta misure corrispondenti almeno a quelle del terzo livello di contenimento.
          5. Per i luoghi di lavoro di cui ai commi 3 e 4, il Ministero della sanità, sentito l’Istituto superiore di sanità, può individuare misure di contenimento più elevate.

          ART. 83 – Misure specifiche per i processi industriali
          1. Fatto salvo quanto specificatamente previsto all’allegato XI, punto 6, nei processi industriali comportanti l’uso di agenti biologici dei gruppi 2, 3 e 4, il datore di lavoro adotta misure opportunamente scelte tra quelle elencate nell’allegato XIII, tenendo anche conto dei criteri di cui all’art. 82, comma 2.
          2. Nel caso di agenti biologici non ancora classificati, il cui uso può far sorgere un rischio grave per la salute dei lavoratori, il datore di lavoro adotta misure corrispondenti almeno a quelle del terzo livello di contenimento.

          ART. 84 – Misure di emergenza
          1. Se si verificano incidenti che possono provocare la dispersione nell’ambiente di un agente biologico appartenente ai gruppi 2, 3 o 4, i lavoratori devono abbandonare immediatamente la zona interessata, cui possono accedere soltanto quelli addetti ai necessari interventi, con l’obbligo di usare gli idonei mezzi di protezione.
          2. Il datore di lavoro informa al più presto l’organo di vigilanza territorialmente competente, nonché i lavoratori ed il rappresentante per la sicurezza, dell’evento, delle cause che lo hanno determinato e delle misure che intende adottare, o che ha già adottato, per porre rimedio alla situazione creatasi.
          3. I lavoratori segnalano immediatamente al datore di lavoro o al dirigente o al preposto, qualsiasi infortunio o incidente relativo all’uso di agenti biologici.
          ART. 85 – Informazioni e formazione
          1. Nelle attività per le quali la valutazione di cui all’art. 78 evidenzia rischi per la salute dei lavoratori, il datore di lavoro fornisce ai lavoratori, sulla base delle conoscenze disponibili, informazioni ed istruzioni, in particolare per quanto riguarda:
          a) i rischi per la salute dovuti agli agenti biologici utilizzati;
          b) le precauzioni da prendere per evitare l’esposizione;
          c) le misure igieniche da osservare;
          d) la funzione degli indumenti di lavoro e protettivi e dei dispositivi di protezione individuale ed il loro corretto impiego;
          e) le procedure da seguire per la manipolazione di agenti biologici del gruppo 4;
          f) il modo di prevenire il verificarsi di infortuni e le misure da adottare per ridurne al minimo le conseguenze.
          2. Il datore di lavoro assicura ai lavoratori una formazione adeguata in particolare in ordine a quanto indicato al comma 1.
          3. L’informazione e la formazione di cui ai commi 1 e 2 sono fornite prima che i lavoratori siano adibiti alle attività in questione, e ripetute, con frequenza almeno quinquennale, e comunque ogni qualvolta si verifichino nelle lavorazioni cambiamenti che influiscono sulla natura e sul grado dei rischi.
          4. Nel luogo di lavoro sono apposti in posizione ben visibile cartelli su cui sono riportate le procedure da seguire in caso di infortunio od incidente.

          ART. 86 – Prevenzione e controllo
          1. I lavoratori addetti alle attività per le quali la valutazione dei rischi ha evidenziato un rischio per la salute sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria.
          2. Il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari per quei lavoratori per i quali, anche per motivi sanitari individuali, si richiedono misure speciali di protezione, fra le quali:
          a) la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione, da somministrare a cura del medico competente;
          b) l’allontanamento temporaneo del lavoratore secondo le procedure dell’art. 8 del decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277.

          ART. 87 – Registri degli esposti e degli eventi accidentali
          1. I lavoratori addetti ad attività comportanti uso di agenti del gruppo 3 ovvero 4 sono iscritti in un registro in cui sono riportati, per ciascuno di essi, l’attività svolta, l’agente utilizzato e agli eventuali casi di esposizione individuale.
          2. Il datore di lavoro istituisce ed aggiorna il registro di cui al comma 1 e ne cura la tenuta tramite il medico competente. Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il rappresentante per la sicurezza hanno accesso a detto registro.
          3. Il datore di lavoro:
          a) consegna copia del registro di cui al comma 1 all’Istituto superiore di sanità e all’ISPESL, comunicando a essi ogni tre anni e comunque ogni qualvolta questi ne fanno richiesta, le variazioni intervenute;
          b) comunica all’ISPESL la cessazione del rapporto di lavoro, dei lavoratori di cui al comma 1 fornendo nel contempo l’aggiornamento dei dati che li riguardano e consegna al medesimo Istituto le relative cartelle sanitarie e di rischio di cui all’art. 86, comma 5;
          c) in caso di cessazione di attività dell’azienda, consegna all’Istituto superiore di sanità copia del registro di cui al comma 1 e all’ISPESL copia del medesimo registro nonché le cartelle sanitarie e di rischio di cui all’art. 86, comma 5;
          d) in caso di assunzione di lavoratori che abbiano esercitato attività che comportano rischio di esposizione allo stesso agente richiede all’ISPESL copia delle annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1, nonché copia della cartella sanitaria e di rischio di cui all’art. 86, comma 5;
          e) tramite il medico competente comunica ai lavoratori interessati le relative annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1 e nella cartella sanitaria e di rischio di cui all’art. 86, comma 5, ed al rappresentante per la sicurezza i dati collettivi anonimi contenuti nel registro di cui al comma 1.
          4. Le annotazioni individuali contenute nel registro di cui al comma 1 e le cartelle sanitarie e di rischio di cui all’art. 86, comma 5, sono conservate dal datore di lavoro fino a risoluzione del rapporto di lavoro e dall’ISPESL fino a dieci anni dalla cessazione di ogni attività che espone ad agenti biologici. Nel caso di agenti per i quali è noto che possono provocare infezioni consistenti o latenti o che danno luogo a malattie con recrudescenza periodica per lungo tempo o che possono avere gravi sequele a lungo termine tale periodo è di quaranta anni.
          5. La documentazione di cui ai precedenti commi è custodita e trasmessa con salvaguardia del segreto professionale.
          6. I modelli e le modalità di tenuta dei registri e delle cartelle sanitarie di cui rispettivamente ai commi 1 e 2 sono determinati con decreto dei Ministri della sanità e del lavoro e della previdenza sociale sentita la commissione consultiva permanente.
          7. L’ISPESL trasmette annualmente al Ministero della sanità dati di sintesi relativi alle risultanze del registro di cui al comma 1.

          ART. 88 – Registro dei casi di malattia e di decesso
          1. Presso l’ISPESL è tenuto un registro dei casi di malattia ovvero di decesso dovuti all’esposizione ad agenti biologici.
          2. I medici, nonché le strutture sanitarie, pubbliche o private, che refertano i casi di malattia, ovvero di decesso di cui al comma 1, trasmettono all’ISPESL copia della relativa documentazione clinica.
          3. Con decreto dei Ministri della sanità e del lavoro e della previdenza sociale, sentita la commissione consultiva, sono determinati il modello e le modalità di tenuta del registro di cui al comma 1, nonché le modalità di trasmissione della documentazione di cui al comma 2.
          4. Il Ministero della sanità fornisce alla commissione CE, su richiesta, informazioni sull’utilizzazione dei dati del registro di cui al comma 1.

          ART. 89 – Contravvenzioni commesse dai datori di lavoro e dai dirigenti
          1. Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti:
          a) con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da lire tre milioni a lire otto milioni per la violazione degli articoli 4, comma 5, lettere b), d), e), h), l), n) e q); 22, comma 1; 30, commi 3, 4, 5 e 6; 31; 54, commi 1, 2, 3 e 4; 55, commi 1, 3 e 4; 58;
          b) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da lire un milione a lire cinque milioni per la violazione dell’art. 4, comma 5, lettere a), c), f), g), i), m) e p).
          2. Il datore di lavoro è punito:
          a) con l’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da lire tre milioni a lire otto milioni per la violazione degli articoli 4, commi 2 e 7; 12, comma 1, lettere d) ed e) e comma 4; 15, comma 1; 32; 35, commi 1, 2, 4 e 5; 38; 43, commi 3, 4, lettere a), b), d), g), e comma 5; 48; 49, comma 2; 52, comma 2; 56, comma 2; 62; 63, commi 1, 3, 4 e 5; 64; 65, comma 1; 66, comma 2; 68; 69, commi 1, 2 e 5; 78, comma 2; 79, comma 2; 80, comma 1; 81, commi 2 e 3; 82, commi 1, 2, 3 e 4; 83; 85, comma 2; 86;
          b) con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da lire un milione a lire cinque milioni per la violazione degli articoli 4, commi 4 e 6; 7, commi 1, 2 e 3; 6, commi 2, 3, 7 e 8; 9, comma 2; 10; 12, comma 1, lettere a), b) e c); 15, comma 2; 21; 37; 43, comma 4, lettere c), e) ed f); 49, comma 1; 56, comma 1; 57; 63, comma 6; 66, commi 1 e 4; 67; 70, commi 1 e 2; 76; 77, commi 1 e 4; 78, comma 3; 84, commi 2 e 4; 85, comma 1; 87, commi 1 e 2.
          3. Il datore di lavoro e il dirigente sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire sei milioni per la violazione dell’art. 4, comma 5, lettera o).
          4. Il datore di lavoro è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire sei milioni per la violazione degli articoli 4, comma 8; 8, comma 11; 11, commi 1 e 3; 70, commi 3 e 4; 87, commi 3 e 4.

          ART. 90 – Contravvenzioni commesse dai preposti
          1. I preposti sono puniti:
          a) con l’arresto sino a due mesi o con l’ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni per la violazione degli articoli 4, comma 5, lettere b), d), e), h), l), n) e q); 22, comma 1; 31, nonché per l’inosservanza delle prescrizioni minime di cui all’art. 30, comma 3; 54, commi 1, 2, 3 e 4; 55, commi 1, 3 e 4; 58;
          b) con l’arresto sino ad un mese o con l’ammenda da lire trecentomila a lire un milione per la violazione dell’art. 4, comma 5, lettere a), c), f), g), i), m) e p);
          c) con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire cinquecentomila a lire tre milioni per la violazione dell’art. 4, comma 5, lettera o).

          ART. 91 – Contravvenzioni commesse dai commercianti e dagli installatori
          1. La violazione dell’art. 6, comma 2, è punita con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da lire quindici milioni a lire sessanta milioni.
          2. La violazione dell’art. 6, commi 1 e 3, è punita con l’arresto fino ad un mese o con l’ammenda da lire seicentomila a lire due milioni.

          ART. 92 – Contravvenzioni commesse dal medico competente
          1. Il medico competente è punito:
          a) con l’arresto fino a due mesi o con l’ammenda da lire un milione a lire sei milioni per la violazione degli articoli 17, comma 1, lettere b), d), h) e l); 69, comma 4; 70, commi 1 e 2;
          b) con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda da lire cinquecentomila a lire tre milioni per la violazione degli articoli 17, comma 1, lettere e), f), g) ed i), nonché del comma 3; 69, comma 6.

          ART. 93 – Contravvenzioni commesse dai lavoratori
          1. I lavoratori sono puniti:
          a) con l’ammenda da lire quattrocentomila a lire un milione e duecentomila per la violazione degli articoli 5, comma 2; 39; 44; 84, comma 3;
          b) con l’ammenda da lire duecentomila a lire seicentomila per la violazione degli articoli 67, comma 2; 84, comma 1.

          ART. 94 – Violazioni amministrative
          1. Chiunque viola le disposizioni di cui agli articoli 65, comma 2, e 80, comma 2, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire centomila a lire trecentomila.

          ART. 95 – Norma transitoria
          1. In sede di prima applicazione del presente decreto e comunque non oltre il 31 dicembre 1996, il datore di lavoro che intende svolgere direttamente i compiti di prevenzione e protezione dai rischi è esonerato dalla frequenza del corso di formazione di cui al comma 2 dell’art. 10, ferma restando l’osservanza degli adempimenti previsti dal predetto art. 10, comma 2, lettere a), b) e c).

          ART. 96 – Decorrenza degli obblighi di cui all’art. 4
          1. È fatto obbligo di adottare le misure di cui all’art. 4 nel termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto.

          ART. 97 – Obblighi d’informazione
          1. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale trasmette alla commissione:
          a) il testo delle disposizioni di diritto interno adottate nel settore della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro;
          b) ogni cinque anni, una relazione sull’attuazione pratica delle disposizioni dei titoli I, II, III e IV;
          c) ogni quattro anni, una relazione sull’attuazione pratica delle disposizioni dei titolo V e VI.
          2. Le relazioni di cui al comma 1 sono trasmesse anche alle commissioni parlamentari.

          ART. 98 – Norma finale
          1. Restano in vigore, in quanto non specificatamente modificate dal presente decreto, le disposizioni vigenti in materia di prevenzione degli infortuni e igiene del lavoro.
          Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

          Le acciughe…


          Oggi voglio parlare di: acciughe o alici …………..

          L’acciuga o alice, è un pesce di tipo pelagico, ovvero che nuota o chacciughe o alicie viene trasportato dalle correnti e il cui ciclo vitale si svolge prevalentemente lontano dal fondo marino. Nei mesi autunnali e invernali le acciughe vivono alla profondità di circa 100-200 m, mentre negli altri periodi si avvicinano molto alle coste e vive in branchi molto numerosi. L’acciuga è un pesce dalle dimensioni abbastanza piccole, la lunghezza più comune si aggira sui 12 cm, ma può arrivare anche a misurare 20 cm. Ha occhi e bocca di notevoli dimensioni, ha piccoli denti sulla mascella inferiore che risulta più corta di quella superiore. Il corpo è affusolato, il ventre è liscio e la testa prende circa un quarto della lunghezza totale. Ha una sola pinna dorsale, posizionata centralmente, pinne anali situate medialmente e pinne pettorali situate ventralmente. Il suo ciclo vitale dura al massimo 48 mesi. La colorazione del dorso è azzurra con sfumature di colore verdastro; i fianchi e il ventre sono argentei, le pinne dorsali e quelle della coda sono grigio-chiare, le altre invece hanno colorazione biancastra. L’acciuga si nutre di piccoli crostacei, di larve di molluschi e di plancton vegetale. Le acciughe sono una specie molto diffusa, è possibile trovarla in tutto il Mediterraneo, nel Mar Nero, nell’Atlantico orientale. In Italia si trova abbondantemente nel mar Adriatico, nel Golfo di Genova e nel Canale di Sicilia. La pesca delle acciughe dura tutto l’anno, ma il periodo in cui essa è particolarmente abbondante è quello della deposizione delle uova.   portale Albanesi.it

          In cucina

          Le acciughe sono acquistate principalmente fresche, oppure sottosale o sott’olio. Le acciughe fresche sono mantenute in frigorifero a 0 °C per non più di tre giorni, mentre sottosale e sottolio in magazzino a temperatura ambiente senza esposizione al sole. Per quanto riguarda la pulizia, utilizzando le mani, bisogna staccare la testa con le dita aprire il ventre facendo una leggera pressione e staccare la lisca centrale, sollevandola sempre con le dita. Lavare molto bene sotto l’acqua facendo molta attenzione perché come tutti i pesci azzurri hanno una carne piuttosto delicata. In cucina le alici le troviamo in diverse pietanze soprattutto tipiche del territorio, dall’antipasto ai primi e secondi piatti sfiziosi.

          Timballetto di alici con cicorietta saltata alla moda viestana al forno arrajanet’

          (Tipico piatto  viestano)

          Ingredienti pax n 4

          • Alici kg 1
          • Cicorie kg 1
          • Pomodorini g 100
          • Mollica di pane raffermo q b
          • Aglio n 2 spicchi
          • Prezzemolo tritato q b
          • Olio d’oliva q b
          • Peperoncino n 1

          Preparazione

          Pulire e mondare le alici e le cicorie. Tritare uno spicchio d’aglio e il prezzemolo. Sbriciolare la mollica di pane. Pulire, lavare e tagliare a quadrettini i pomodorini.

          Cuocere in abbondante acqua le cicorie, scolarle, strizzarle leggermente e saltarle in padella con uno spicchio d’aglio in camicia e peperoncino. Preparare la panura: in una bacinella mettere la mollica di pane sbriciolata, l’aglio, il prezzemolo e un cucchiaio di olio d’oliva, mescolare il tutto. (volendo avvicinarsi all’originale unire alla panura un cucchiaio di pecorino grattugiato). In una teglia capace per quattro, oppure in recipienti monoporzioni mettere un filo di olio, coprire il fondo con uno strato di acciughe, una spolverata di panura, una dadolata di pomodorini e uno strato di cicorietta. Ripetere l’operazione, alla fine completare con una spolverata di panura e pomodorini, un filo di olio e infornare a 180 °C per circa 15 minuti.

          Tiramisù al limone


          Categoria: dessert

          Reparti: Pâtissier

          Utensili: bastardelle, fruste, cucchiaioni, spatola, stampo

          Ingredienti

          Fette di limoni n 12

          Limoncello n 2 bicchieri

          Succo di limone n 1 bicchiere

          Tuorli d’uova n 5

          Albumi d’uova n 5

          Zucchero n 7 cucchiai

          Mascarpone g 250

          Scorza di limone n 1

          Granella di nocciola g 50

          Savoiardi n 12

          Procedimento

          • Montare i tuorli con lo zucchero; montare a neve gli albumi, unificare il tutto con la spatola di legno aggiungere il mascarpone, due cucchiai di succo di limone e la scorza grattugiata.
          • Bagnare i savoiardi nel succo di limone e limoncello diluito con acqua e zucchero. Posizionare nello stampo le fette di limone e granelli di nocciola fare uno strato di crema, uno di savoiardi e così procedere fino a terminare lo stampo. Fare riposare in frigo a bassa temperatura per tre ore circa.

          Chiancarelle con le cime di rapa


          Chiancarelle con le cime di rapa

           

          Categoria

          Primi piatti tipici pugliesi (Foggia)

          Pax 6

          Ingredienti

          • Per le orecchiette

          Farina di grano duro g 400

          Olio d’oliva cl 5

          Uova n 1

          Sale fino un pizzico

          Acqua tiepida q b

          • Per la guarnizione

          Rape pulite g 300

          Aglio spicchio n 1

          Peperoncino n 1

          Acciughe dissalate n 3

          Olio d’oliva cl 10

          Procedimento

          Piatto tipicamente foggiano; le ” chiancarelle ” sono delle orecchiette piccoline, cotte in abbondante acqua insieme alle cime di rape e, scolate, salsate con il soffritto di aglio, acciughe, peperoncino.

          Segue abbondante irrorazione di olio extravergine d’oliva.

          Reparti:
          Entremetier
          Utensili:
          spianatoia, coltello da tavola, setaccio, spelucchino, padellino, casseruola, schiumarola, colapasta

          Metodi di cottura:
          bollire

          Sassanelli


          Sassanelli

          Categoria  Dolce tipico pugliese

          Pax

            Ingredienti
            Farina tipo 0 g 500
            Zucchero 150
            Burro g 125
            Mandorle tritate grossolanamente g 100
            Ammoniaca un cucchiaino raso
            Lievito per dolci g 25
            Buccia di limone n 1
            Caffè freddo una tazzina
            Uova n 2
            Cannella e chiodi di garofano in polvere il profumo
            Vin cotto di fichi q b

             

            Procedimento
            • Setacciare la farina; tritare grossolanamente le mandorle; tritare finemente la buccia del limone.
            • In una terrina capiente mettere tutti gli ingredienti e iniziare ad amalgamare versando prima il caffè e a seguire il vin cotto fin quando basta per ottenere un composto omogeneo.
            • Lasciare riposare in frigo per 30 minuti con un panno coperto.
            • Prendere l’impasto, tagliare a pezzi e formare dei cordoni che taglierete a piccoli pezzi da formare delle palline.
            • Rivestire una teglia con la carta e mettere le palline distanziandole leggermente.
            • Cuocere a 200° in forno statico per 15 minuti circa.
            Reparti:
            Pâtissier
            Utensili:
            teglia, bastardella, spatola, setaccio

            Metodi di cottura:
            forno
            Note
            Per i sassanelli al cioccolato aggiungere 50 g di cacao amaro in polvere e scagliette di cioccolato
            .
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            Crostata di mele


            Categoria pasticceria torte e crostate  Reparti Pâtissier crostatadimeleUtensili trinciante, spelucchino, mattarello, spatola, rotella rigata, pennello Metodi di cottura forno

            Ingredienti

            • Pasta frolla comune g 500
            • Mele renette g 600
            • Zucchero g 20
            • Uovo n 1
            • Gelatina di albicocche q b

            Procedimento

            Lavare, pelare e tagliare a fette le mele. Stendere la frolla e foderare la tortiera, scaloppare le mele da coprire completamente il fondo, una spolverata di zucchero, completare con le strisce di frolla, pennellare con l’uovo battuto, fare cuocere in forno a 180 °C. Lucidare con la gelatina.