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Polpettone di vitello alla valdostana


Categoria Secondo piatto di carne della cucina regionale Reparti Garde-manger, Saucier Metodi di cottura Forno 180 °C 30mm Mise en place Boucher, tagliere, bacinelle, carta da forno, pennello, placca

Ingredienti Pax 4

  • Polpa di spalla e ritagli vitello g 600Polpettone di vitello alla valdostana
  • Pancarrè 4 fette
  • Prezzemolo foglie q b
  • Sale, pepe a sufficienza
  • Parmigiano g 40
  • Uova n 1
  • Foglie di bieta n 8
  • Prosciutto crudo g 100
  • Formaggio fontina g 100
  • Pancetta tesa g 100
  • Olio evo q b
  • Fondo bruno ml 100

Procedimento

Fase di preparazione Polpettone di vitello alla valdostana

Pulire la carne delle parti superflue, tagliarla a pezzi e porla in una bacinella, unire le foglie di prezzemolo ben lavate e il pancarré precedentemente ammollato in acqua e poi strizzato. Passare il tutto al tritacarne a maglia media per due volte, rimettere il macinato nella bacinella e condire con il sale, il pepe, il parmigiano, l’uovo e un pò di olio evo, impastare il tutto molto bene. Nel frattempo lavare bene la bieta, dividere le foglie dalla costa, sbollentare le foglie e raffreddarle in acqua, scolarle molto bene. Su un foglio di carta da forno spennellato di olio, porre il macinato, stenderlo ad uno spessore di circa 1,5 cm, fare il primo strato di bieta, poi di prosciutto e poi di fontina, arrotolarlo alle fatte di pancetta per poi chiuderlo nel foglio di carta da forno a caramella. Lasciare riposare il polpettone in frigo per un’ora circa.

Fase cottura e assemblaggio

Mettere il polpettone nella placca poggiando la parte della chiusura, mettere un filo di olio evo e farlo cuocere in forno a 180 °C per 30 mm. Quando è cotto farlo riposare per circa 10 minuti prima di tagliarlo, servirlo insieme ad una salsa ben calda in questa occasione è stato proposto il fondo bruno legato, ma è possibile abbinare una qualsiasi salsa calda.Polpettone di vitello alla valdostana

Osservazioni

Col medesimo impasto è possibile ottenere polpette e ripieni.

Qualcosa in più

Gastrosofia elogio della polpetta

Dal libro Una polpetta ci salverà di Anna Scafuri e Giancarlo Roversi.

Quando giungevano in tavola, le polpette portavano con sé una nota di vivida gioia. Morbide, sugose, profumate, a volte un po’ croccanti, altre volte delle sfumature tradivano le loro intimità, svelando al palato più fine i preziosi ingredienti dell’amalgama: il battuto di manzo o di vitello, il petto di pollo o di tacchino, il lombo di maiale, la polpa di agnello, il formaggio, specie il grana col suo gusto inconfondibile e determinante, le uova, il prezzemolo, la noce moscata, il prosciutto, la mortadella e, talora, la ricotta o il formaggio molle, che davano all’impasto una straordinaria sofficità. Non è che tutti questi componenti fossero sempre presenti e in egual misura. Al contrario. Il segreto stava proprio nell’abbinare quelli preferiti a seconda dei gusti o dell’occasione conviviale cui erano destinate. Così le polpette prendevano mille sapori e profumi diversi e mille forme: piccolissime come palline, usate soprattutto per guarnire finanziere, savarin e altri piatti di classe, oppure piccole, medie o più grandi in relazione alle abitudini di casa o del ristorante e ai dettami delle ricette utilizzate. E, come Fregoli, potevano assumere i più svariati “travestimenti”: presentarsi in tavola fritte e croccanti per stuzzicanti antipasti, oppure più grandi e con il cuore tenero come ghiotta pietanza, o affogate in deliziose e saporose salse a base di pomodoro o in altri inebrianti intingoli che richiedevano un lussurioso accoppiamento col pane, tanto pane. Talvolta, per riuscire più delicate e molli, le polpette si lasciavano “corrompere” dalla cremosa besciamella, che ne veniva ad accrescere la sensualità. Erano anche amiche dei meno abbienti e svolgevano una proficua azione contro gli sperperi, favorendo il risparmio e il riciclaggio delle rimanenze di cucina (che, senza questa vocazione “ecologica”, sarebbero andate a incrementare la massa dei rifiuti urbani). Infatti, grazie alla loro innata inclinazione altruistica e alla loro longanimità, non disdegnavano di unirsi carnalmente con gli avanzi del lesso rimasto dalla tipica “pentola” della domenica, assumendo nella nuova versione “democratica” una lievità e una fragranza inimmaginabili. Ma fu proprio questo spirito filantropico, tutto rivolto al bene delle classi popolari, la ragione prima della loro rovina.